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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2014 alle ore 12:58.

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Come si vivrebbe senza la Bce? A sognare una sovranità monetaria, e quindi una banca centrale nazionale, sono oggi in tanti.

La banca centrale si è attirata molte critiche, non tutte ingiuste, per la sua gestione della recessione. La crisi spagnola o irlandese, dicono in molti, non è sorta perché i tassi Bce erano troppo bassi per quelle economie? E oggi, la politica monetaria non è forse troppo rigida per i Paesi periferici, Italia compresa? La Gran Bretagna, ma anche le piccole Svezia e Danimarca, concludono, vivono benissimo con una propria valuta e una propria autorità monetaria: l'idea che occorra essere grandi per avere una moneta nazionale ha fatto il suo tempo...

Ma è proprio impossibile difendere il ruolo della Bce? No, e non è neanche difficile. Cosa sarebbe l'Olanda, o l'Austria, o anche la Francia e l'Italia senza la Bce? Satelliti della Bundesbank e della Germania - come lo erano prima dell'euro - senza la possibilità, oggi invece concreta, di condizionarne le scelte.

Eurolandia non è stato un progetto economico, ma politico, un'intuizione di François Mitterrand. Cosa avrebbe fatto, si chiese il presidente francese all'inizio degli anni 90, una Germania unificata con nuovi mercati - i Paesi ex comunisti - a sua disposizione? Sarebbe diventata una superpotenza economica, con una propria sfera d'influenza governata dalla sua moneta (la diplomazia valutaria è una realtà che tanti economisti disconoscono). L'area del marco era già molto estesa, e condizionava sia la Francia - che adottò la politica del franco forte, speculare a quella del marco forte - sia l'Italia. All'epoca le valute erano collegate dallo Sme (Erm) che garantiva una certa stabilità dei cambi, utile alle imprese, senza impedire all'occorrenza una costosa svalutazione, ma che era comunque guidato dal marco.

Lasciare le cose come stavano poteva esasperare le differenze di potere tra i Paesi. L'euro e la Bce furono la risposta a questo problema. Oggi è tutta l'Europa ad avere una sua sfera d'influenza ed è la moneta comune il suo veicolo. Alla Germania è stata tolta l'arma del marco e quella della politica monetaria: non si può dire che la Bce sia controllata dai tedeschi, che non hanno mai avuto un presidente né un vicepresidente, e non hanno più un "capoeconomista" nel board.

È nell'ordine delle cose che tutto questo abbia una contropartita. La Germania non deve tollerare svalutazioni competitive dei partner ed evita il destino dei paesi con una valuta internazionale: l'indebitamento estero. Ha poi ottenuto che le politiche allegre di un Paese non pesassero sui partner. Di questo impegno chiede, con qualche eccesso, il rispetto integrale.

Senza la Bce, la Banque de France o la Banca d'Italia non sarebbero allora molto diverse dalla Danmarks Nationalbank di Copenhagen, costretta a seguire la Bce passo passo. O, se il paragone disturba per le piccole dimensioni della Danimarca, sarebbero come la Bank of England prima della crisi. La sterlina - il termometro affidabile della politica monetaria - "imitava" l'euro con movimenti appena più ampi, con buona pace della sovranità monetaria. Non sono andate molto diversamente le cose per la Riksbank e la corona svedese.

La crisi, è vero, ha cambiato molte cose. Bank of England e Riksbank - ma non la Danimarca, legata allo Sme II - hanno potuto godere di una maggiore flessibilità d'azione rispetto alla Bce. In questo senso, non si può pensare che Eurolandia lasci le cose come sono. Credere però che uscire dall'euro - a parte i costi altissimi - faccia recuperare la "sovranità monetaria" può rivelarsi una pericolosa illusione.

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