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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2014 alle ore 12:01.
L'ultima modifica è del 06 maggio 2014 alle ore 13:57.
C'è un volto che Maastricht mostra subito al viaggiatore che attraversa la Mosa da Hoge Brug, il modernissimo ponte costruito nel più rigoroso rispetto delle normative europee: è Plein 1992, la piazza che ha incisi sulla pavimentazione una data - il 1992 - e un simbolo - quello dell'euro - a cui è indissolubilmente legata la sua fama recente. La città celebra così la firma del Trattato che preparò la nascita dell'euro, emblema di un'integrazione che toccava allora un decisivo punto di approdo.
Quello che non tutti sanno, invece, è che questo antico insediamento sorto nel lembo più meridionale d'Olanda, a cinque chilometri dal Belgio e 20 dalla Germania, è il capoluogo del Limburgo, una delle province più euroscettiche del Paese. Un euroscetticismo che qui significa soprattutto Partito della Libertà, il Pvv di Geert Wilders che i sondaggi davano in testa per le prossime elezioni Europee, con il 17% delle preferenze. Almeno prima delle ultime affermazioni del leader contro gli immigrati marocchini («Ne volete di meno? - ha chiesto durante un comizio -. Ce ne occuperemo»), che hanno sollevato un coro di critiche e ridotto un po' i consensi.
L'euroscetticismo e le altre argomentazioni del Pvv non si colgono in realtà parlando con l'intellighenzia di Maastricht; è più facile trovarli tra le bancarelle del mercato, nelle parole di Nick, che vende lingerie davanti al municipio: «L'euro come moneta è una cosa buona, ma sono entrati troppi Paesi deboli che diventano un peso. Qualcuno approfitta dell'Europa». Aggiunge che darebbe il suo voto a Wilders per chiedere un cambiamento, nonostante le recenti affermazioni del leader sui marocchini: «È un po' radicale, ma alla fine usa le persone come esempio; ha detto che il crimine non deve pagare, che è poi quello che insegno ai miei bambini. Mentre oggi i delinquenti si arricchiscono».
Secondo Chris Aalberts, studioso della comunicazione politica e autore del libro "Dietro il Pvv", realizzato intervistandone i sostenitori, ci sono tre ragioni alla base del successo di Wilders: «Innanzi tutto - spiega - il modo in cui la politica olandese funziona e la gente la percepisce: poco trasparente sulle decisioni e difficile da influenzare, mentre il Pvv promette impegni chiari. In secondo luogo la questione "norme e valori", un argomento molto forte soprattutto nel Sud: la sensazione diffusa che ci siano troppa criminalità, troppe frodi, disonestà e indecenza, che non si collabori più per risolvere i problemi di un quartiere. L'Olanda - in definitiva - non è più quella di una volta. Erano i temi forti dei cristiano-democratici, fatti propri dal Pvv. Infine - ed è forse il punto più importante - la questione stranieri, tutti i problemi di criminalità o integrazione collegati a chi viene da fuori».
Quanto alla campagna contro l'Europa, si è nutrita secondo Aalberts di «vent'anni in cui i politici olandesi hanno addossato a Bruxelles la responsabilità di determinate decisioni o normative». E si salda ora con le tradizionali invettive contro le ondate migratorie.
Le motivazioni del voto, soprattutto la questione stranieri, spiegano perché sia più facile disegnare la mappa dei sostenitori che tracciare un identikit dell'elettore tipo. I serbatoi del Pvv sono grandi città come Rotterdam o L'Aja, dove si riscontrano i maggiori problemi sociali, oppure alcuni quartieri di Amsterdam. Il partito è poi forte a Sud, soprattutto nei comuni di confine che i ceti culturalmente più elevati tendono a scartare.
Le autorità municipali di Maastricht rifiutano però la patente di città euroscettica. «Qui non è un sentimento così diffuso», spiega Jean Bruijnzeels, account manager del Dipartimento affari economici e cultura della Città di Maastricht, che cura tra l'altro i rapporti con le istituzioni internazionali. «È piuttosto un atteggiamento della regione, legato a problemi sociali o politici, come la scomparsa dei grandi partiti. O alla loro incapacità di far arrivare all'uomo della strada informazioni concrete sul perché l'Europa gli conviene. In una zona di confine come questa, per esempio, prima dell'euro servivano tre monete diverse nella stessa regione». La città peraltro - nota ancora Bruijnzeels - dal Trattato e dall'integrazione ha ricevuto un impulso positivo in termini di turismo, internazionalizzazione, crescita dell'università, sesta nel ranking mondiale degli atenei con meno di cinquant'anni.
Sull'euroscetticismo crescente, anche in uno dei Paesi fondatori della Ue, un tempo paladino del rigore di matrice tedesca, pesa naturalmente la crisi economica, che ha fatto perdere all'Olanda la tripla A e ha costretto il governo liberal-laburista a varare dure misure di austerity. «La crisi del 2008 si è fatta sentire - ammette Frank van Buren, presidente dell'Associazione imprenditoriale di Maastricht -. Restiamo però un Paese ricco, anche se i populisti giocano abilmente con le paure dell'uomo medio, che teme di perdere il lavoro». Van Buren si dice un po' preoccupato dell'ascesa dei movimenti euroscettici, ma invita anche a non sopravvalutarli. E liquida con una battuta il rapporto Nexit, lo studio sui benefici per l'Olanda di un'uscita dalla Ue e dall'euro commissionato dal Pvv al think tank Capital Economics: «Quel report non è di nessun valore scientifico, se fosse la tesi di laurea di mio figlio lo prenderei a calci nel sedere».
Cosa bisogna attendersi, dunque, alle elezioni di maggio, per il Pvv e per l'Europa? «Sui numeri è difficile fare previsioni - risponde Patrick Bijsmans, direttore del corso di laurea in Studi europei dell'Università di Maastricht -. C'è un trend che fa prevedere una crescita dei partiti euroscettici, anche se poi bisognerà vedere se riusciranno a creare un gruppo unico al Parlamento europeo (Wilders a novembre si è alleato con il Front National, ndr). Quanto all'Europa, mi aspetto che sopravviverà, anche se vedremo un rallentamento nel processo di integrazione».
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