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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2014 alle ore 17:44.
L'ultima modifica è del 26 maggio 2014 alle ore 18:53.

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Le elezioni europee segnano in Spagna la fine del sistema bipartitico e avvicinano il Paese al rischio di ingovernabilità. Popolari e socialisti, le due grandi forze che dopo la dittatura franchista si sono alternate alla guida del Paese negli ultimi trent'anni, sono scese per la prima volta come somma sotto il 50% dei consensi. Ma le due grandi novità riguardano il sorpasso in Catalogna della Sinistra Repubblicana su Convergenza e Unione di Artur Mas. E soprattutto il successo del movimento Podemos che ha dato forma politica alla protesta degli indignados.

La sconfitta per i due grandi schieramenti spagnoli era prevista ma si è rivelata molto più pesante di quanto avessero indicato i sondaggi durante tutta la campagna elettorale. Il Partito popolare del premier Mariano Rajoy ha perso 6,8 milioni di voti e quasi venti punti percentuali rispetto alle politiche del 2011 scendendo al 26%: non sono quindi bastati la ripresa economica e i primi dati di risalita dell'occupazione per far dimenticare l'austerity del governo ed evitare il tonfo dei conservatori. È andata ancora peggio al Partito socialista che continua inesorabilmente a svuotarsi e si ferma al 23%, il peggior risultato della sua storia: ha perso 3,5 milioni di voti e sei punti percentuali rispetto al 2011, tanto che il segretario socialista, Alfredo Perez Rubalcaba, ha dovuto dare le dimissioni convocando un congresso nazionale straordinario a fine luglio. «Mi assumo tutta la responsabilità della sconfitta. Ora è tempo di rinnovare completamente tutta la linea dirigente del partito», ha detto Rubalcaba, da tutti considerato il più capace dirigente politico sulla scena, una sorta di Massimo D'Alema spagnolo, che tuttavia non ha saputo dare un senso all'azione dei socialisti nella crisi economica e partitica che ha seguito la stagione dello Zapaterismo.
Popolari e socialisti avranno assieme solo 30 dei 54 seggi complessivi che spettano alla Spagna a Strasburgo mentre nel 2009 ne avevano conquistati 47.

Se domani si andasse a votare per la nuova legislazione la Spagna rischierebbe di trovarsi senza una maggioranza in parlamento, costretta a cercare un governo di coalizione difficilissimo da realizzare. Il voto europeo evidenzia infatti una frammentazione crescente delle forze politiche spagnole. Si confermano in ascesa la sinistra di Izquierda Plural (terzo partito con il 10% dei voti) e l'UPyD, Union Progreso y Democracia, della carismatica leader centrista, Rosa Diez (quinta con il 6,5%).

Ma se i sondaggi avevano, seppure solo in parte, previsto il tracollo dei grandi partiti tradizionali, le vere sorprese del voto europeo sono due. La prima riguarda il successo storico della Sinistra Repubblicana di Catalogna che superando per la prima volta Convergenza e Unione di Artur Mas (23,7% contro 21,8% nella regione più ricca di Spagna) eredita dallo stesso Mas la leadership del nazionalismo e dell'indipendentismo catalano.

La novità più sorprendente viene dal movimento Podemos che ha dato forma politica alla protesta degli indignados. Podemos - che nel nome richiama lo Yes we can di Barack Obama e che letteralmente si può tradurre con Possiamo farcela - dopo solo tre mesi di attività è diventato la quarta forza del Paese riuscendo a ottenere 1,2 milioni di voti pari all'8% dei consensi e a cinque seggi nel Parlamento europeo. A guidare il movimento è Pablo Iglesias, 35 anni, professore di Scienze Politiche all'Università Complutense di Madrid, e volto molto noto al grande pubblico per le sue numerose partecipazioni a programmi televisivi. È lui che superando le polemiche e le divisioni ha cavalcato i temi sociali di un Paese travolto dalla crisi e che ha un tasso di disoccupazione del 26%, per dare una casa agli indignati accampati nelle piazze di tutto il Paese, con un programma di sinistra radicale che vuole un'Europa diversa e chiede «più sviluppo, più partecipazione, meno banche e più persone». Ma senza mai attaccare le fondamenta comuni del progetto europeo e senza mai chiedere l'uscita dalla moneta unica perché in Spagna l'alternativa politica a popolari e socialisti non è di destra estrema e non è xenofoba, come accade invece in altri Paesi del continente. È certo più vicina a Tsipras che al Front National di Marine Le Pen. E sembra lontanissima anche dalle posizioni dell'olandese Geert Wilders e dal populismo del M5S italiano.

«Nonostante il nostro risultato, in Spagna ci sono sempre sei milioni di disoccupati e banchieri impuniti. Da oggi ci daremo da fare per collaborare con altri partiti del Sud dell'Europa per far sapere a tutti che non vogliamo essere una colonia della germania», ha detto Iglesias nel primo discorso dopo il successo elettorale. «Il nostro obiettivo - ha aggiunto - è continuare ad avanzare fino a togliere il potere ai popolari e ai socialisti. Per avere un governo rispettabile dove nessun potere finanziario venga prima dei diritti della gente. Siamo nati per andare sempre più avanti e non ci fermeremo».

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