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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2014 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 09 giugno 2014 alle ore 14:23.

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Goal dell'Uruguay nella finale mondiale contro l'Argentina (Olycom)Goal dell'Uruguay nella finale mondiale contro l'Argentina (Olycom)

L'idea di Jules Rimet, Presidente della Fifa, era nata per mettere fine alle polemiche sulla partecipazione di calciatori professionisti alle Olimpiadi, che fino al 1928 erano considerate la più importante manifestazione per rappresentative nazionali. Rimet decise quindi di organizzare un campionato mondiale, che avrebbe dovuto essere disputato ogni quattro anni, e che il vincitore di tre edizioni anche non consecutive avrebbe conquistato la Coppa in via definitiva. Così, nel 1930, prese il via la storia dei mondiali di calcio come li conosciamo oggi: la Coppa Rimet sarebbe andata, quarant'anni dopo, al Brasile di Pelè.

L'organizzazione del primo mondiale toccò all'Uruguay, che aveva vinto le Olimpiadi di Parigi del 1924 bissando il successo ad Amsterdam nel 1928. Per l'occasione a Montevideo venne costruito uno stadio capace di ospitare centomila spettatori. Il Paese ospitante, consapevole delle difficoltà e dei costi che all'epoca imponeva una simile trasferta, offrì viaggio e alloggio gratis alle squadre del Vecchio Continente che si fossero iscritte alla competizione: l'invito fu accolto solo da Francia, Romania, Belgio e Jugoslavia. Allora, per arrivare in nave in Uruguay, ci voleva quasi un mese: troppo, per una manifestazione che stava appena nascendo.

I primi mondiali si svolsero nella seconda metà di luglio: le nazionali furono divise in quattro gironi vinti da Argentina, Uruguay, Jugoslavia e Stati Uniti. In finale si ritrovarono, come era già accaduto alle ultime due Olimpiadi, i padroni di casa dell'Uruguay e l'Argentina, dove mancavano però due giocatori fondamentali: Cesarini e soprattutto Orsi, considerato la migliore ala sinistra del mondo. Entrambi erano stati messi sotto contratto dalla Juventus. Il calcio italiano si stava preparando per i successi futuri.

Della finale di quel mondiale sono rimaste pochissime informazioni: la più curiosa è quella relativa alla perquisizione di oltre ventimila tifosi argentini per essere certi che nessuno portasse armi allo stadio. Nonostante questa iniziativa l'arbitro, il belga Langenus, prima di entrare in campo chiese e ottenne che fosse stipulata a suo favore una polizza assicurativa sulla vita. L'Uruguay, composto in larga parte dai giocatori che avevano vinto le Olimpiadi del 1924, era una squadra ormai anziana ma di grande esperienza. L'Argentina, che aveva chiuso il primo tempo in vantaggio per 2-1, venne ripresa e poi superata per 3-2. Una vittoria in rimonta che gli uruguagi avrebbero ripetuto vent'anni dopo, facendo piangere tutto il Brasile.

Quello che è importante ricordare dell'Uruguay di quegli anni è la straordinaria qualità dei giocatori, che infatti lasciarono ben presto i confini nazionali per raccogliere ricchi ingaggi all'estero. In Italia approdarono tra gli altri due attaccanti come Petrone e Scaroni, che le cronache dell'epoca dipingono come un campione in grado di impensierire, per proprietà di tocco e capacità di tiro, perfino il grande Meazza. Mascheroni, altro campione importato dall'Uruguay, era invece un difensore dotato di una classe straordinaria: spesso, nella sua area, dribblava gli attaccanti avversari per rilanciare l'azione in tutta tranquillità. Era solo l'inizio della stagione degli oriundi, giocatori uruguagi e argentini di origine italiana che sarebbero approdati non solo nelle nostre squadre di club, ma anche in Nazionale.

L'altro aspetto da sottolineare a proposito dell'Uruguay è l'invenzione del modulo a W, che aveva portato ai tre successi consecutivi in due Olimpiadi e nel mondiale del 1930. La lettera W indicava la posizione dei giocatori nella fase di attacco, due centrocampisti centrali a ridosso della metà campo e tre attaccanti (due ali e un centrali) schierati sulla stessa linea di fronte all'area avversaria. In difesa, invece, c'erano due centrali senza compito di marcatura che stazionavano nell'area subito davanti al portiere, con due difensori laterali che marcavano le ali avversarie e un centromediano incaricato di svolgere un doppio compito: difendere sul centravanti avversario e fare da regista di attacco per impostare l'azione. Il modulo a W venne presto adottato da molte Nazionali e, tra queste, quella italiana che avrebbe vinto il mondiale del 1930. Ma questa è un'altra storia.

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