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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2014 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 09 giugno 2014 alle ore 14:23.

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La Francia si era aggiudicata la terza edizione del campionato del mondo di calcio, l'ormai ambitissima Coppa Rimet. La Nazionale italiana si era presentata all'appuntamento con una squadra ricca di campioni straordinari e pronta a tentare la riconferma dopo il successo di quattro anni prima. L'ambiente, tuttavia, era decisamente ostile agli azzurri che nella testa degli spettatori rappresentavano la dittatura fascista ancor prima di essere una squadra di calcio.

La gara di esordio rischiò di essere anche l'ultima per l'Italia: opposta alla Norvegia, che praticava il più offensivo WM e che di conseguenza marcava rigidamente a uomo, Meazza e compagni andarono quasi subito in vantaggio con gol di Ferraris II ma poi diedero spazio al contropiede norvegese. La gara fu quasi un assalto, con Oliveri a compiere miracoli per difendere la porta e la difesa costantemente sotto pressione. I norvegesi pareggiarono allo scadere e la partita andò ai supplementari: Piola mise a segno il gol decisivo tra i fischi degli spettatori dello stadio di Marsiglia.

Vittorio Pozzo, dopo quell'esordio da brivido, sostituì tre uomini facendo entrare in formazione Foni, Biavati e Colaussi. La partita successiva, a Parigi, era il quarto di finale contro la Francia, brillantemente superata per 3-1 con due gol di Piola e uno di Colaussi: i francesi, sportivamente, applaudirono.

Il quartetto delle semifinaliste vedeva Italia, Brasile, Ungheria e Svezia. I sudamericani, che giocavano a W, erano gli avversari destinati agli azzurri: avevano passeggiato battendo 6-5 la Polonia, mostrando tuttavia lo stesso imbarazzo dell'Italia contro il WM avversario. Poi, nei quarti di finale, avevano pareggiato contro la Cecoslovacchia ed erano stati costretti a ripetere la partita, come imponeva il regolamento dell'epoca. Il portiere Planicka si accorse, solo alla fine della prima partita, di avere un braccio rotto e dovette lasciare il posto alla sua riserva: il Brasile vinse 2-1, mostrando un gioco spumeggiante e ricco di inventiva. Prestigiatori li definì il nostro osservatore, quel Gian Piero Combi che aveva difeso la porta italiana nella finale mondiale del 1934.

Vittorio Pozzo dovette lavorare a lungo per convincere Giuseppe Meazza a non scendere sul piano della competizione personale con i fenomeni sudamericani: contava solo vincere. E i brasiliani, certi di approdare alla finale, avevano già prenotato venti posti sull'aereo che portava da Marsiglia a Parigi. Un errore madornale, perché Pozzo usò quella notizia per stimolare l'orgoglio degli azzurri, che fino a prova contraria erano i campioni in carica.

L'avvio della partita vide il Brasile "bailare futbol": perfino in difesa, dove c'era la «Perla nera» Domingos, si permetteva di irridere gli italiani con dribbling e palleggi. Gli azzurri, come aveva ordinato Pozzo, pensavano a difendere e mandare la palla verso le punte. Lo stadio era in delirio tutte le volte che un brasiliano toccava il pallone, Mezza e Piola accumulavano rabbia e desiderio di vendetta. Che puntuale, arivò con un traversone di Biavati verso l'area avversaria. Piola quella palla non l'avrebbe mancata per nessuna ragione al mondo: vide la Perla nera staccarsi con eleganza dal suolo per controllare e gli si scagliò contro. Il pallone ricadde male, sul piede di Colaussi che era lì di fianco. Partì un tiro che conteneva tutta la rabbia accumulata fino a quel punto: 1-0 per l'Italia e Brasile impazzito per l'affronto subito.

Iniziarono anche a picchiare, i brasiliani, squilibrandosi per cercare il pareggio e aprendosi al contropiede azzurro. Meazza lanciò Piola verso la porta difesa da Walter e Domingos , sempre lui, fu costretto a falciarlo per impedirgli di segnare. Rigore, netto. Un rigore che è rimasto nella storia perché Giuseppe Meazza, al momento del tiro, si trovò con l'elastico dei pantaloncini rotto e fu costretto a tirare sostenendoli con una mano. Per un fuoriclasse come lui non poteva essere un problema. Finta a sinistra e tiro a destra: 2-0 e partita chiusa. Anche perché dopo l'unico gol segnato dai brasiliani, a tre minuti dalla fine, Meazza si prese la soddisfazione di far vedere che in fatto di dribbling e palleggi non era secondo a nessuno: si impossessò del pallone e lo tenne fino alla fine, con gli avversari che non riuscivano a interrompere i suoi numeri da giocoliere. I biglietti dell'aereo per Parigi furono ceduti agli azzuri.

In finale l'avversario era l'Ungheria, che aveva distrutto i sogni della Svezia con un sonoro 5-1. Ma era un avversario che, in quegli anni, si era abituato a perdere contro l'Italia. Attaccavano a testa bassa, favorendo il gioco di rimessa in cui Meazza e compagni erano maestri. Segnò per primo Colaussi, quindi pareggiò Titkos. Piola al 16esimo e ancora Colaussi al 35esimo riportarono il risultato a distanza di sicurezza. Nemmeno il provvisorio 3-2 di Sarosi, al 69esimo, creò ansie alla Nazionale italiana che si limitò ad alzare il ritmo di gioco per mettere a segno il quarto gol con Piola. Nessun favore arbitrale, nessun vantaggio casalingo: l'Italia era campione del mondo per la seconda volta consecutiva. Vicina, molto vicina, a quel terzo trionfo che avrebbe potuto regalargli la Coppa Rimet in via definitiva. Ma da lì a poco, a scombinare le carte, sarebbe arrivata la tragedia della seconda guerra mondiale. Di calcio e di mondiali si sarebbe riparlato solo nel 1950.

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