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Questo articolo è stato pubblicato il 29 maggio 2014 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 09 giugno 2014 alle ore 14:23.

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L'Italia campione del Mondo nel 1934 (Olycom)L'Italia campione del Mondo nel 1934 (Olycom)

Lo stadio che a Roma avrebbe ospitato la finale dei mondiali del 1934, assegnati all'Italia, era pronto già un anno prima dell'inizio della manifestazione. L'inaugurazione ufficiale fu l'occasione per sfidare i maestri del calcio, come all'epoca si definivano gli inglesi che, in virtù della loro autoasserita superiorità, continuavano a non partecipare alle manifestazioni internazionali. Al massimo si concedevano per qualche amichevole, come nel caso di quell'Italia-Inghilterra. La partita finì in parità, con gol di Ferrari e dell'inglese Bastin.

Fu l'occasione per vedere dal vivo l'applicazione del modulo WM, detto anche sistema, un'evoluzione del "metodo" conosciuto anche come modulo a W ideato dall'Uruguay. Nella pratica la W dei cinque di attacco rimaneva la stessa, ma era spostata una decina di metri più avanti per sottolineare la maggiore vocazione offensiva, mentre la M nella metà difensiva portava ad avere tre soli difensori schierati sulla stessa linea davanti al portiere, tutti con compiti di marcatura, e due centrocampisti centrali a sostegno dell'attacco. Un sistema di gioco chiaramente offensivo, che richiedeva prestanza atletica e capacità di corsa: doti di cui gli inglesi abbondavano, facilitati in questo dai loro campi di gioco, ricoperti da un soffice manto erboso e spesso ammorbidito dalle frequenti piogge. Altra cosa era giocare sui campi duri e sabbiosi che all'epoca erano quasi una regola nei Paesi più caldi.

Il Mondiale prese l'avvio con un braccio di ferro tra le scuole che adottavano il metodo e quelle che preferivano il sistema: tra queste ultime, per comunanza di caratteristiche con il calcio inglese, spiccava ovviamente la Germania. Le favorite erano l'Austria, che pochi mesi prima aveva dominato l'Italia in uno scontro diretto allo stadio di Torino, la Francia, la Spagna, l'Ungheria e la Cecoslovacchia. Per l'Italia non c'erano i favori del pronostico, ma c'era l'obbligo di vincere un mondiale in casa che avrebbe avuto anche un importante significato politico per il regime di allora.

Alle semifinali arrivarono Germania contro Cecoslovacchia e Italia contro Austria. Merita però di essere ricordato il quarto di finale che la nostra Nazionale disputò a Firenze contro la Spagna: la prima partita si era chiusa in parità, sull'1-1, ma soprattutto venne tollerato un vero e proprio assalto fisico contro il portiere spagnolo, il leggendario Zamora, che fu malmenato al punto da non poter disputare il secondo incontro. Segnò Giuseppe Meazza, e l'Italia vinse 1-0 passando alla semifinale. Le proteste degli spagnoli dopo la partita furono inutili: si deve purtroppo constatare che si trattò solo del primo di una lunga serie di episodi a favore del Paese organizzatore che negli anni a venire avrebbero costellato la storia del mondiale.

Ma torniamo alle semifinali: la Cecoslovacchia eliminò la Germania, infliggendole un chiaro 3-1 frutto della scarsa attenzione tattica dei tedeschi. L'Italia, in uno stadio di San Siro ingrandito per l'occasione, riuscì a battere l'Austria per la seconda volta nella storia dopo tredici partite segnate da otto sconfitte e quattro pareggi. L'unica vittoria azzurra fino a quel punto era stata ottenuta sempre a Milano. L'azione decisiva in quella semifinale fu avviata da Schiavio, che scagliò un forte tiro contro la porta difesa da Platzer. Il portiere austriaco non riuscì a trattenere e sulla respinta Meazza aveva colpito di testa. Mentre la palla stava entrando in rete spuntò Guaita, che diede il tocco decisivo togliendo il gol al compagno. Anche in questa partita, come in quella contro gli spagnoli, ci furono proteste per il trattamento ruvido riservato da Monti al centravanti avversario, Sindelar. Proteste inutili: il fattore campo aveva aiutato una Nazionale che, favori a parte, si era comunque dimostrata in grado di reggere il confronto con le rappresentative più forti dell'epoca.

La finale si svolse a Roma, in uno stadio pieno all'inverosimile anche grazie alla presenza di molti spettatori non paganti che erano riusciti comunque a superare i controlli agli ingressi. Al gol di Puč, segnato al 76esimo minuto, aveva risposto quattro minuti dopo Orsi portando la gara ai supplementari. Le due squadre erano distrutte dalla fatica e, in un'epoca dove ancora non esistevano le sostituzioni, il Commissario tecnico Vittorio Pozzo fu costretto a invertire le posizioni di Guaita e Pozzo, mettendo al centro il più giovane (Guaita). Proprio dal piede di quest'ultimo partì, dopo soli cinque minuti dei tempi supplementari, il passaggio per uno Schiavio ormai al limite delle forze. Quello che rimaneva lo mise in quel tiro, che fulminò il grande portiere Planicka proteso in un inutile tuffo. L'Italia era campione del mondo per la prima volta.

A quella vittoria seguirono molte polemiche: in Cecoslovacchia e in Austria, in particolare, continuarono a sostenere la superiorità del proprio calcio su quello degli azzurri, accusati di essere stati favoriti dall'arbitraggio casalingo. La polemica si spense l'anno dopo, quando la Nazionale italiana vinse per 2-0 in Austria espugnando per la prima volta il Prater, e poi per 1-0 a Praga. Tutte le reti furono segnate da un certo Silvio Piola, un giovane di cui il calcio mondiale avrebbe ancora sentito parlare.

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