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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2014 alle ore 08:41.
L'ultima modifica è del 09 giugno 2014 alle ore 14:26.
Finalmente in casa dei maestri, dell'Inghilterra madre del calcio: gli inglesi, che per decenni avevano snobbato le competizioni internazionali e che da quando vi avevano preso parte ne erano usciti con le ossa rotte, ebbero la loro grande occasione nel 1966. Qualificata di diritto come Paese organizzatore e inserita in un girone con Uruguay, Francia e Messico, l'Inghilterra aveva dalla sua il fattore campo, che come si era visto nei mondiali precedenti era un vantaggio tutt'altro che trascurabile, e proponeva una formazione di buon livello che puntava soprattutto sulla prestanza fisica e sulla combattività dei suoi elementi. Il cervello e fuoriclasse era Bobby Charlton, contornato da compagni che avrebbero legato la loro fama soprattutto a quell'edizione della Coppa Rimet.
L'Italia era stata affidata alle cure di Edmondo Fabbri che decise di impostare la Nazionale con un modulo di gioco diverso dal catenaccio, adottato da tutte le squadre di club in Italia, puntando su una maggiore flessibilità in difesa e affidando ai due mediani laterali il compito di sostenere l'attacco. Una scelta che attirò sul commissario tecnico, già prima della partenza, più di una critica e molte preoccupazioni: i giocatori erano di alto livello, ma il modulo proprio non funzionava.
In quella Nazionale c'erano campioni come Rivera, Mazzola, Facchetti, Corso, Bulgarelli, Riva, Burgnich, Albertosi. Avrebbero duvuto sfidare, nel girone iniziale, Urss, Cile e Corea del Nord. Con i cileni sarebbe stata una rivincita dopo lo scandalo di Santiago quattro anni prima, con gli sconosciuti coreani una prevedibile passeggiata buona solo per il pallottoliere. Si iniziò proprio con i cileni, regolati agevolmente per 2-0 con reti di Mazzola e Barison, ma contro l'Urss il meccanismo ideato da Edmondo Fabbri mostrò più di una incrinatura: l'Italia perse 1-0 riponendo però la speranza, o meglio certezza, del passaggio ai quarti nella facile gara con la Corea del Nord.
Si è molto detto e molto scritto su quella partita: l'unica cosa certa è il gol di Pak Do Ik al 42esimo minuto del primo tempo, che ha consegnato alla storia un'eliminazione che per gli azzurri brucia ancora oggi ed è diventata sinonimo di vergogna. La verità è che della Corea si sapeva pochissimo: la loro squadra era stata militarizzata a partire dal 1960, i giocatori vivevano in caserma e venivano sottoposti ad allenamenti durissimi dalle 7 e 30 del mattino. Non potevano partecipare al campionato, ma disputavano una partita alla settimana contro una squadra di club. E soprattutto, raccontavano i pochi che li avevano visti dal vivo, correvano come ossessi. Rivista con calma anni dopo la partita mostra due cose: è vero che i coreani correvano e avevano un tono atletico straordinario, ma è altrettanto vero che l'Italia avrebbe potuto, nonostante tutto, seppellirla di gol. Ma ogni tanto capita, nel calcio, di prendere a pallate la porta avversaria senza riuscire a metterla dentro.
Ai quarti di finale, a sorpresa, non arrivarono nemmeno il Brasile e la Spagna fresca campione d'Europa. Tra i verdeoro Pelé era a mezzo servizio e non riuscì a giocare una partita completa, mentre i vecchi fuoriclasse del 1954 e 1958 non avevano trovato sostituti all'altezza. La Spagna, inserita tra le possobili pretendenti al titolo, perse con Argentina e Germania Ovest faticando per battere di misura, inutilmente, la Svizzera.
Gli accoppiamenti per i quarti erano: Inghilterra-Argentina, Portogallo-Corea, Germania-Uruguay, Urss-Ungheria. La vittoria inglese arrivò per 1-0, con estrema fatica, solo dopo l'espulsione del capitano argentino Rattin al 33esimo del primo tempo. I giornali di mezzo mondo parlarono di furto e di scandalo, ma i favori per padroni di casa erano ben lontani dall'essere esauriti. I tedeschi eliminarono l'Uruguay per 4-0 con qualche aiuto arbitrale: due espulsioni contro i sudamericani e, soprattutto, un clamoroso rigore non fischiato a favore degli uruguagi con le squadre sullo 0-0. L'Urss vinse con un tranquillo 2-1 sull'Ungheria. La Corea del Nord, pur con evidenti limiti tattici, riuscì a segnare tre reti al Portogallo del grande Eusebio, che da solo ne mise a segno quattro per il 5-3 finale. Gli asiatici avevano dimostrato che tutto sommato la Nazionale italiana qualche scusante ce l'aveva...
Nella prima semifinale i tedeschi vinsero per 2-1 contro l'Urss, in una partita arbitrata dall'italiano Concetto Lo Bello. Anche in questo caso ci fu un'espulsione a favore della Germania che, grazie all'infortunio del russo Sabo, finì per giocare in undici contro nove. Era la terza partita consecutiva che i tedeschi chiudevano in superiorità numerica. La sfida per il titolo sarebbe stata contro i padroni di casa, che con analogo punteggio avevano battuto il Portogallo: Eusebio, su rigore, aveva segnato a pochi minuti dalla fine quando la gara era ormai indirizzata.
La finale è passata alla storia come quella del «gol fantasma». Chiusi i primi novanta minuti sul 2-2, non senza qualche polemica sulle decisioni arbitrali da ambo le parti, si arrivò ai supplementari: dopo undici minuti Hurst sferrò un tiro da fuori area che colpì la traversa e tornò in campo. L'arbitro svizzero Dienst, che non aveva visto l'azione, chiese aiuto al guardalinee azero Bakhramov, che confermò a gesti come la palla fosse entrata: la comunicazione con l'arbitro era impossibile, non c'era una lingua conosciuta da entrambi con cui comunicare. Dienst convalidò il gol: le riprese televisive avrebbero dimostrato che la palla non aveva superato la linea di porta.
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