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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2014 alle ore 08:29.
L'ultima modifica è del 09 giugno 2014 alle ore 14:27.
Nel 1978 si ripropose, in Argentina, una situazione simile a quella che aveva caratterizzato il mondiale italiano del 1934. Nel Paese Sudamericano c'era la dittatura di Jorge Rafael Videla, che aveva preso il potere da due anni e che non avrebbe mai potuto accettare, esattamente come Mussolini 44 anni prima, un risultato diverso dalla vittoria. Se possibile, rispetto ai favori ottenuti dagli azzurri nell'edizione del '34, le cose in Argentina andarono anche peggio. Anche se in quell'Argentina, incolpevoli, giocavano campioni di valore assoluto come Passarella, Ardiles e Kempes. A sorpresa, con i suoi 18 anni e il titolo di capocannoniere appena conquistato nel campionato argentino, restò fuori rosa un certo Diego Armando Maradona.
L'Italia arrivò a quell'edizione dei Mondiale dopo un lungo periodo di ricostruzione, seguito all'eliminazione al primo turno in Germania quattro anni prima. I mostri sacri del calcio italiano (Mazzola, Rivera e Riva) erano stati estromessi e la Nazionale affidata al binomio Bernardini-Bearzot aveva giocato le partite del 1975 quasi con un intento sperimentale. Sembrava che, dopo anni di opulenza in fatto di fuoriclasse, il Dio del calcio ci avesse voltato le spalle.
Dopo tre anni di coabitazione, nel 1977 la squadra venne consegnata al solo Enzo Bearzot, che si presentò in Argentina con una Nazionale basata sul blocco Juventus: Dino Zoff, a 36 anni, era una certezza irrinunciabile, e a lui si affiancavano Causio, Scirea (che aveva sostituito l'infortunato Facchetti), Tardelli, Bettega, Gentile, Cuccureddu, Cabrini e Benetti. Al loro fianco, per una convivenza apparentemente difficile, un altro blocco, quello del Torino: Pecci, Patrizio e Claudio Sala, Pulici, Graziani e Zaccarelli. Gli altri in ordine sparso: Paolo Rossi, un giovane bomber del Lanerossi Vicenza, Bellugi, Antognoni, Manfredonia, Maldera e Paolo Conti. Ivano Bordon, dell'Inter, attendeva alle spalle di Zoff un'occasione che, alle riserve del grande Dino, non sarebbe mai arrivata.
Non essendo testa di serie l'Italia venne inserita in un girone difficile, insieme ai padroni di casa, alla Francia e all'Ungheria. Battuti per 2-1 i transalpini e liquidata l'Ungheria con un 3-1 più netto di quanto dica il punteggio, venne il momento dello scontro diretto con l'Argentina. Gli azzurri confermarono quanto di buono avevano fatto vedere fino ad allora, non solo per le vittorie ottenute, ma soprattutto per il gioco concreto e fantasioso al tempo stesso. Arrivò una vittoriaper 1-0 con gol di Bettega dopo un'azione rapidissima e fatta di passaggi rasoterra.
L'Italia era l'unica formazione del Mondiale a qualificarsi a punteggio pieno e avrebbe continuato a giocare a Buenos Aires mentre l'Argentina, seconda nel girone, si sarebbe trasferita a Rosario. Nel gruppo degli azzurri si trovavano Germania Ovest, Austria e Olanda, con l'Argentina c'erano Brasile, Polonia e Perù. Le prime classificate, come era già accaduto nel 1974, avrebbero disputato la finale per il titolo, le seconde sarebbe approdate alla finalina di consolazione. A mio avviso, la partita più inutile dell'intero torneo.
Con la Germania Ovest fu un pareggio bugiardo come la lingua di Giuda: lo 0-0 finale non raccontava dei legni colpiti dagli azzurri, né del salvataggio della difesa tedesca sulla linea di porta. Il pareggio complicava un po' le cose ma si rimediò con l'Austria, battuta agevolmente per 1-0 con gol di Paolo Rossi. Decisiva era a quel punto la partita contro l'Olanda, la grande Olanda che cercava la rivincita dopo la sconfitta di quattro anni prima contro la Germania. Gli arancioni arrivarono allo scontro con l'Italia dopo aver pareggiato 2-2 con i tedeschi una partita sempre all'inseguimento ed erano riusciti a salvarsi in extremis con un gol di René van de Kerkhof all'82esimo. Facile, invece, la vittoria per 5-1 sull'Austria.
Gli azzurri andarono in vantaggio su un'autorete di Brandts al 19esimo minuto, ma poi lo stesso Brandts al 49esimo e Haan al 76 scagliarono due siluri che Zoff non riuscì nemmeno a sfiorare. Sul nostro numero uno iniziarono i dibattiti sull'età avanzata e sugli evidenti problemi alla vista che doveva avere per prendere gol simili. Comunque fosse, Olanda in finale e Italia alla finalina, dove avrebbe incontrato il Brasile.
Merita però un racconto la qualificazione dell'Argentina alla finale: tutto il girone era stato costruito per mettere i padroni di casa nelle migliori condizioni. La partita tra Brasile e Polonia, per esempio, era stata programmata per mettere in condizione l'Argentina di scendere in campo, nell'ultima gara del girone a quattro, conoscendo il risultato finale dell'altro scontro. Il Brasile, dopo aver battuto per 3-0 il Perù e pareggiato 0-0 con i padroni di casa, aveva inflitto un pesante 3-1 a un'ottima Polonia. All'Argentina, vittoriosa 2-0 sulla Polonia, serviva a quel punto una vittoria sul Perù con almeno tre gol di scarto.
Lo scandalo era apparecchiato e pronto a essere ingoiato in un sol boccone. Nella notte prima della partita, per puro caso, la sorveglianza presso l'hotel dove alloggiavano i peruviani venne allentata e i giocatori non riuscirono a chiudere occhio grazie ai continui cori e insulti provenienti dalla strada. Altrettanto casualmente il pullman che doveva portare la squadra avversaria allo stadio sbaglio più volte strada, impiegando quasi due ore per compiere un percorso valutato, al massimo, in quindici minuti. Il portiere del Perù, l'oriundo argentino Ramón Quiroga, fece più errori in quella partita che in tutta la sua carriera. Il risultato finale fu 6-0. La dittatura di Videla poteva continuare a dormire sonni tranquilli, il titolo se lo sarebbero giocato Argentina e Olanda.
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