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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2014 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 13 giugno 2014 alle ore 08:28.

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(LaPresse)(LaPresse)

Dal Brasile ci si aspetta sempre molto. E probabilmente più avanti saprà stupire. Per battere una Croazia coriacea nella partita d'esordio, sempre complicata, va ricordato, per tanti motivi soprattutto psicologici, è bastata ieri la classe di Neymar e Oscar, e un rigore che l'arbitro giapponese Nishimura ha concesso con eccessiva generosità.
Del resto se il calcio è il luogo degli imprevisti, un mondiale è ancora più indecifrabile. Questo non significa che alle fasi finali non arrivino comunque le squadre più forti e preparate. Ma solo che prevedere chi, tra le squadre migliori e con più talenti, possa vincere, se è già difficile, in un Mondiale diventa un azzardo.

Per ciò che ci insegna l'esperienza – e penso ai miei Mondiali, 1978 in Argentina e 1982 in Spagna – posso dire che il fattore campo potrebbe essere determinante. E non mi riferisco al fatto che il Brasile è padrone di casa. Questo, anzi, alla lunga potrebbe essere un boomerang per una squadra tutto sommato giovane che deve battere in campo avversarsi che venderanno cara la pelle e fuori le pressioni e le aspettative di un'intera nazione che vive di calcio. Mi riferisco alla «tradizione» per cui le squadre sudamericane quando giocano nel loro continente sanno sempre dare quel qualcosa in più. Per questo nessuna nazionale europea è mai riuscita a vincere in un Mondiale "americano". Quindi nella mia personale griglia delle nazionali favorite metto Brasile, Argentina, Uruguay e Colombia. Candidate a rovesciare la storia a favore dell'Europa metto Germania, Spagna, Italia e attenti alle ambizioni del Belgio.

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