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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 25 giugno 2014 alle ore 09:07.

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Siamo fuori dal Mondiale. Fa quasi rabbia constatarlo, anche perché la sconfitta per 1 a 0 con l'Uruguay ha poche scusanti.
Abbiamo fatto poco e quelle poche recriminazioni che potremmo avanzare (l'eccessivo "rosso" a Marchisio, il morso non visto di Suarez a Chiellini) non ce le siamo "meritate". Per la seconda edizione consecutiva di una Coppa del Mondo non superiamo la prima fase.

È arrivato il momento di prendere atto del basso livello del nostro movimento calcistico. Le dimissioni del ct Cesare Prandelli e del presidente della Figc Giancarlo Abete sono un segnale importante. La Serie A è diventata un torneo in cui si gioca a ritmi diversi, dove gli arbitri fischiano poco e dove non si riescono più a formare giocatori di prima fascia. Da un certo punto di vista è come se il Mondiale dell'Italia fosse finito con quel pallonetto mancato di Mario Balotelli contro il Costa Rica. Dopo la squadra si è come spenta, sotto il peso delle responsabilità e delle attese. Abbiamo festeggiato troppo la vittoria con l'Inghilterra. Gli inglesi sono gli unici che hanno il diritto di essere stanchi, visto la mole di partite che disputano e i ritmi a cui giocano.

Di questa spedizione c'è poco da salvare. La reazione caratteriale degli ultimi dieci minuti, dopo aver subito la rete di Godin, vale ma non può bastare. Non credo sia stato un problema di cambio in corsa di moduli e uomini, anche se ci siano ritrovati in campo senza più attaccanti d'area. In fondo abbiamo mantenuto noi le redini del gioco. Però non abbiamo tirato in porta. Non siamo stati feroci. Ecco, semmai, il problema è stato il possesso palla non conforme al nostro calcio che è vincente quando è basato sull'inventiva, sulla capacità di "improvvisare", di difendere e lanciarsi in contropiede. Ricordo la rapidità di ribaltamento dell'azione che è stata l'arma in più della Nazionale nel Mondiale del 1982. A quel modello di calcio, che non era il vecchio catenaccio, Enzo Bearzot teneva molto, perchè lo riteneva più aderente allo spirito italiano. Il sacrificio e la fantasia: sono queste le doti principali che ci sono mancate.

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