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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2014 alle ore 13:11.
L'ultima modifica è del 30 giugno 2014 alle ore 13:12.

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Dalle meraviglie di James (si pronuncia Ames, la mamma ci tiene) Rodriguez, stella luminosissima di una Colombia colma di qualità che se potesse contare pure sull'efficacia sotto porta di Radamel Falcao avrebbe i numeri per sbancare il Maracanà, alle intuizioni da applausi di Lionel Messi, guida e riferimento imprescindibile di un'Argentina che senza di lui avrebbe fatto fatica a passare il girone eliminatorio.

Dal talento da copertina di Neymar, che regge da solo e con ottimi risultati l'attacco del Brasile perché tra Fred e Jo c'è da mettersi le mani nei capelli, alla gloria imperitura che al suo ritorno in patria sarà consegnata a Bryan Ruiz, attaccante della Costa Rica che ieri sera ha portato in vantaggio i Ticos nello scontro da dentro o fuori con la Grecia. E cosa dire dei gol firmati dall'olandese volante Wesley Sneijder e dal messicano tutto pepe Giovani Dos Santos nella gara che ha infiammato gli spalti già caldissimi del Castelão di Fortaleza?

È il Mondiale dei numeri 10, giocatori dai piedi buonissimi e con la capacità di cambiare l'inerzia di una partita in un amen. Fantasisti e goleador, abili nell'imbeccata ma pure nel colpo che risolve e sistema, stanno infiammando le notti brasiliane con un misto esplosivo di classe e carisma da far venire i brividi per l'emozione. Alcuni di loro sono campioni già celebrati a livello internazionale, come Messi, Neymar e Rodriguez, altri lo sono stati in un passato sempre meno recente, vedi Sneijder e Dos Santos, altri ancora, ed è il caso del costaricano Ruiz, 29enne che negli ultimi sei mesi della scorsa stagione ha giocato nel Psv Eindhoven, sperano di veder finalmente riconosciuti gli sforzi di una carriera saltellante e mai completamente appagante.

Nella categoria dei grandissimi vanno inseriti di diritto anche Eden Hazard del Belgio, titolare fin qui di un torneo in cui ha espresso però le proprie capacità soltanto a intermittenza, e Lukas Podolski, riserva di lusso nella Germania che si sta facendo cullare da un Thomas Mueller in versione fuoriclasse. Indossa il numero 10 ma in realtà sarebbe un 9 senza se e senza ma il francese Karim Benzema, trascinatore con 3 gol e 2 assist di una nazionale che grazie a lui è riuscita almeno in parte a dimenticare l'assenza per infortunio, pesantissima e potenzialmente decisiva, di Franck Ribery. Gervinho? Il genio della lampada della Costa d'Avorio ha indovinato la rete che ha messo in ginocchio il Giappone e ha riaperto i giochi nella sfida contro la Colombia, ma non è stato sufficiente a evitare l'eliminazione degli Elefanti dalla fase a gironi.

Tra i numeri 10 che meriterebbero di sedersi al tavolo dei migliori, tre giocatori su tutti: l'algerino Sofiane Feghouli, classe 1989, trequartista del Valencia dal 2010, magistrale direttore d'orchestra contro la Corea del Sud e la Russia; il ghanese André Ayew, venticinquenne ala dell'Olympique Marsiglia, motorino instancabile con il vizio del gol (in Brasile ne ha segnati 2); e Granit Xhaka, 22 anni a settembre, medaglia d'oro ai Mondiali Under 17 del 2009 e dall'estate del 2012 in forza ai tedeschi del Borussia Moenchengladbach, che non sarebbero disposti a cederlo (l'Inter è in fila) per meno di 10 milioni di euro, forse più. Grazie alle brillanti prestazioni che hanno offerto sui campi brasiliani potrebbero prendere il volo verso un domani ricco di promesse e di soddisfazioni.

Capitolo delusioni. È il Mondiale dei numeri 10, ma per loro le cose non sono andate per il verso giusto. Stiamo parlando del capocannoniere dell'edizione sudafricana, l'uruguayano ex interista Diego Forlan, rincalzo poco spendibile di Luis Suarez nella Celeste alle prese con la Colombia; dello spagnolo Cesc Fabregas, coprotagonista dello scivolone delle Furie rosse campioni in carica; dell'inglese Wayne Rooney, troppo brutto per essere vero nelle tre gare della fase a gironi che hanno decretato il ritorno a casa dell'Inghilterra; del croato Luka Modric, a onor del vero uno degli ultimi a lasciare la barca che stava affondando; e certo, pure dell'azzurro Antonio Cassano, che non avrebbe immaginato modo peggiore per salutare una volta per tutte la maglia dell'Italia.

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