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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2014 alle ore 10:35.
L'ultima modifica è del 30 giugno 2014 alle ore 19:56.

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Non c'è peggior malato di quello che non vuole guarire. Il calcio italiano è esattamente in questa situazione con l'aggravante che, oltre a essere il paziente, dovrebbe pure essere il medico di se stesso. Le soluzioni sul tappeto dopo l'eliminazione al Mondiale brasiliano e le dimissioni irrevocabili del presidente Giancarlo Abete vengono cercate all'interno del sistema, tra gli uomini che nel bene e nel male hanno comunque guidato la Federazione fino a oggi. Difficile che chi non ha trovato una cura negli ultimi anni si inventi un miracolo nei prossimi mesi.

E infatti le cose stanno andando per le lunghe: l'addio di Abete, al quale va riconosciuto quantomeno l'impegno e il fatto di non essersi certo arricchito facendo il presidente, verrà ratificato oggi nel Consiglio della Figc e non sarà seguito da una nomina in tempi stretti del sostituto. Ad andar bene si arriverà all'11 agosto, in occasione di un'Assemblea federale già programmata: dico ad andar bene perchè, nel caso in cui a quella data non fossero ancora stati eletti i comitati regionali della Lega Nazionale Dilettanti, oggi presieduta da Carlo Tavecchio, si dovrebbe aspettare ancora. E solo dopo la nomina del presidente della Federazione arriverà il nome del nuovo commissario tecnico, in sostituzione del dimissionario Cesare Prandelli.

Peccato, per la nostra Nazionale, che il 4 settembre ci sia in programma un test con l'Olanda (abbiamo scelto un avversario tranquillo...) in preparazione della prima gara di qualificazione per l'Europeo del 2016: il 9 settembre, a Oslo, contro la Norvegia. Ben che vada il Ct entrante avrà tre settimane di tempo per capire cosa fare e come farlo.

Ora, è bene chiarire tre punti fermi. Primo: l'Italia non è la sola Nazionale «di nome» ad aver fallito il Mondiale. Nello stesso calderone sono finiti il Portogallo di Cristiano Ronaldo, l'Inghilterra del campionato più bello del mondo (la Premier League) e soprattutto la Spagna campione del mondo e d'Europa in carica, oltre che rappresentante dei club dominanti nel Vecchio Continente. Non risulta che altrove si siano scatenate le tragedie che hanno investito il Bel Paese. Che a dirla tutta ha vissuto momenti ben peggiori: dal 1950 al 1966 sono stati cinque i mondiali conclusi al primo turno (nel '54 la Svizzera ci eliminò nello spareggio per passare il girone) o addirittura saltati per mancata qualificazione (1958). Non è una consolazione, ma ricordare la storia qualche volta serve per non commettere gli stessi errori: che invece, tra rivoluzioni annunciate e decisioni rimandate, stiamo replicando passo per passo.

Secondo: occorre tenere separato il calcio giocato da quello "politico" della Federazione. Compito della Figc deve essere quello di creare le migliori condizioni possibili perchè il calcio giocato possa crescere. La Nazionale non può e non deve essere terreno di scontro, tavolo da braccio di ferro tra potenti, oggetto di spartizione in termini di nomine. Aspettare fino a metà agosto per avere il successore di Prandelli è un non senso tecnico, anche ricordando che il lavoro del selezionatore non è per nulla simile a quello di un allenatore di club. Tre settimane per rifare la Nazionale richiedono Mandake, non un Ct. I profili dei molti papabili, da Guidolin a Mancini, da Allegri a Conte part time, da Cabrini a Maldini, sono così diversi tra loro che invece di testimoniare la ricchezza del mazzo in cui scegliere confermano la confusione e l'incertezza in cui la scelta dovrà essere fatta. Non un bel segnale.

Terzo: l'unica vera rifondazione della Nazionale italiana è quella seguita all'eliminazione al primo turno nei mondiali del 1974, con l'addio di Ferruccio Valcareggi e l'insediamento del binomio Bernardini-Bearzot. In quell'occasione venne dato il benservito a campioni come Mazzola, Riva e Rivera, tutti trentenni o poco più. Oggi ci si aggrappa a Pirlo come salvatore della patria, fingendo di non sapere che per quanto sia un fuoriclasse assoluto i ritmi del calcio attuale non sono i più adatti a un 35enne come lui. Bastasse la classe il terzetto di Messico '70 sarebbe ancora titolare fisso. All'ultimo Mondiale la differenza di passo tra i nostri centrocampisti e quelli delle nazionali che stanno lottando per accedere ai quarti è apparsa, impietosa, in tutta la sua evidenza.

Leggendo la formazione della nostra Nazionale nel 1975 (Olanda-Italia, 3-1) si leggono i nomi di "Kawasaki" Rocca, Roggi, Orlandini, Zecchini. Quell'Italia non riuscì a qualificarsi per l'Europeo del 1976, finendo terza nel girone alle spalle di Olanda e Polonia: ma in quegli anni venne gettato il seme che avrebbe germogliato nel Mondiale del 1978 e portato frutto in quello straordinario del 1982. In quell'occasione venne dato spazio a giovani che, confrontati a Riva, Rivera e Mazzola sembravano pulcini bagnati e destinati al massacro. Ma in quegli anni crebbe la generazione di Scirea, Cabrini, Tardelli, Antognoni, Gentile e Conti. Che sarebbero diventati immortali lo avremmo scoperto solo più avanti.

Se davvero vogliamo rinnovare il nostro sistema calcio l'unica strada che non si deve percorrere è quella che abbiamo intrapreso: la solita, fatta di giochi di potere, bilancini da farmacista e designazioni per appartenenza. Forse non è un caso se gli uomini di calcio giocato, come Roberto Baggio, nel sistema calcio durano poco. Lo stesso Arrigo Sacchi è stato più volte sul punto di mollare. Ripeto, "politica" da una parte, calcio giocato dall'altra: e di uomini di calcio giocato, in Italia, fino a prova contraria ce ne sono una marea.

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