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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2010 alle ore 08:05.
MILANO
«Google è un'azienda che innova e chi innova può fare degli errori, anche sulla privacy. Come azienda abbiamo un bisogno fondamentale di dati per dare ai nostri utenti prodotti e servizi sempre più di qualità».
Alma Whitten, componente del privacy council e alla guida del team sicurezza applicata di Google, in tasca un dottorato alla School of computer science della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, è l'informatica di "ferro" alla quale spetta il compito di vigilare sul precario equilibrio tra efficienza tecnologica e tutela dei dati personali, equilibrio che in questo periodo ha subìto qualche contraccolpo, a partire dai dati "rubati" via-wifi dalle Google cars, passando per gli aggiustamenti in corsa di Buzz.
Durante l'incontro con la stampa che si è tenuto ieri a Milano, l'esperta del motore di ricerca, pur non rispondendo ai temi più di cronaca come la sentenza italiana relativa al video del ragazzo autistico («Dovete chiedere al mio ufficio legale»), ha spiegato i punti chiave del suo lavoro: utilizzo delle informazioni personali per fornire agli utenti prodotti di qualità, trasparenza, potere di scelta e infine la consapevolezza di Google di essere un "custode" responsabile di informazioni preziose. Perché secondo la Whitten tutto è riconducibile a una lotta tra buoni e cattivi visto che, come motore di ricerca, «dobbiamo diventare sempre più bravi ad apprendere dagli utenti "buoni" e a difenderci dai "cattivi"». I cattivi sono quelli che cercano di falsare i risultati di ricerca in modo artificiale, per esempio con "trucchetti" che permettono di far salire il proprio sito in cima alla classifica dei risultati. L'allusione è ai Seo poco "onesti", dove Seo sta per Search engine optimizer, esperti capaci di "dopare" i siti web nelle search.
Ma quanti e quali dati "trattiene" Google? Possiamo metterli in tre scatole diverse, sostiene la Whitten. «Nella prima ci vanno i dati relativi all'account, nella seconda quelli del login, i dati che vengono inviati al server ogni volta che si fa una ricerca, quindi indirizzo Ip, cookie o sistema operativo». Nella terza scatola ci sono i dati che «non sono frutto di alcuna interazione», applicazioni come Google Earth o Google Maps. Infine tra gli sforzi fatti per migliorare il controllo e le informazioni sulla privacy ci sono i tutorial di YouTube e la plancia di comando (dashboard) degli account.
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