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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2010 alle ore 10:14.

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Il wi-fi sarà più libero - Al via l'iter abrogativo del decreto PisanuIl wi-fi sarà più libero - Al via l'iter abrogativo del decreto Pisanu

Il tema, come sempre di questi tempi da tre anni in qua, ha invaso la rete e su blog e siti specializzati si moltiplicano gli appelli per cancellare le norme del decreto Pisanu che finora hanno limitato la diffusione di internet senza fili. Stavolta però ci sono un paio di armi in più, una proposta di legge bipartisan e l'apertura da parte dello stesso ex ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu.

Dopo gli attentati di Londra del 2005, l'Italia convertì in legge il decreto 144 del 27 luglio (noto appunto come decreto Pisanu) sulle "misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale". Il contestatissimo articolo 7 prevede l'obbligo per tutti i gestori di esercizi pubblici che offrono connessione internet di richiedere una licenza al questore ma, soprattutto, per i collegamenti wi-fi stabilisce che è necessario identificare gli utenti tramite documento d'identità, monitorare le operazioni e archiviare i relativi dati. La stretta, nata come temporanea, è stata allungata di anno in anno attraverso il consueto decreto milleproroghe e a nulla sono servite le campagne e le petizioni online puntualmente ripetute nei mesi precedenti il varo delle proroghe. «Questa però potrebbe essere la volta buona – commenta Linda Lanzillotta (Api), tra i firmatari della proposta di legge bipartisan insieme a Paolo Gentiloni (Pd) e Luca Barbareschi (Fli) –.

Oggi (ieri per chi legge, ndr) il testo, che chiede l'abrogazione integrale dell'articolo 7, è stato assegnato alle commissioni riunite Affari costituzionali e Trasporti e tlc della Camera e noi non daremo tregua fino ad ottenere una rapida calendarizzazione». La convergenza politica sta diventando sempre più evidente. Si sono schierati per una semplificazione anche i Club della Libertà, l'Idv e l'Udc. L'ex ministro Pisanu, autore delle norme del 2005, preferisce non entrare nei singoli aspetti ma ieri, attraverso il suo portavoce, ha confermato al Sole 24 Ore di considerare il contesto ormai mutato e di ritenere che ci siano quindi tutti i presupposti per rivedere l'articolo 7 in senso meno restrittivo. Ieri inoltre il tema è stato affrontato in un question time alla Camera dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito che, pur difendendo i risultati conseguiti con il decreto, ha spiegato che «le richieste di liberalizzazione «sono all'attenta valutazione del ministero dell'Interno».

Ma perché, allora, la proroga finora è stata praticamente un'abitudine? Di certo agli operatori telefonici, il cui business vola con le chiavette per collegarsi a internet dalla rete mobile, le restrizioni del decreto non sono mai dispiaciute. «È possibile, certo, che questo abbia influito – incalza Lanzillotta – ma ora sarebbe finalmente il caso di fare gli interessi degli utenti». La quadra perfetta sarebbe garantire la libertà della rete senza pregiudicare la sicurezza nazionale. Più che possibile, come dimostrò anche una precedente proposta di legge, presentata nel 2009, e caduta nel vuoto. «Del resto – dice ancora Lanzillotta – in Europa non esistono norme che come questa rappresentino una barriera alla rete e alla digitalizzazione del paese. E, in verità, nemmeno il Patriot Act varato dagli Stati Uniti dopo l'11 settembre si è spinto a tanto».

Forse non è un caso che l'Italia abbia al tempo stesso la normativa più stringente sul wi-fi e il numero di hot spot tra i più bassi al mondo. Nella maggior parte dei paesi avanzati agganciarsi con un portatile o uno smartphone a una o più reti wi-fi – libere o a pagamento – è un'operazione di assoluta banalità. Niente registrazione o utilizzo di documenti cartacei, fattore che ha favorito la nascita di un universo di microimprese che offrono connessione e la diffusione del sistema in parchi pubblici, biblioteche, università, oltre ovviamente ad alberghi, caffè e bar. Il risultato, per il web italiano, è sconfortante, siamo lontani anni luce dalla top five che spicca nella classifica di JiWire: Stati Uniti, Cina, Francia, Regno Unito e Germania. Cinquemilacento e poco più punti di accesso fanno davvero poco onore se confrontati con i 94mila degli Usa o i 31mila a disposizione dei francesi.

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