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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2011 alle ore 16:21.

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Circa 150 mila utenti di Google Gmail hanno perso tutti i propri messaggi di posta elettronica a causa di un non meglio precisato bug del sistema. Google minimizza, dicendo che il tutto riguarda solo lo 0,08 per cento degli utenti (mentre secondo le prime stime si trattava di mezzo milione, pari allo 0,3 per cento). Assicura inoltre di essere già al lavoro per rimediare al bug, ma nel contempo avverte: non tutti i messaggi (e i relativi allegati, spesso la cosa più importante) potrebbero essere recuperabili. Google informa gli utenti sullo stato di avanzamento dei lavori tramite una pagina web dell'Apps Status Dashboard.

La prima conseguenza è quindi che in queste ore migliaia di persone nel mondo temono di aver perso posta di anni, magari importante per motivi personali o lavorativi. La seconda conseguenza è che tanti altri stanno andando all'assalto delle soluzioni per evitare che questo accada di nuovo. E cioè ricorrere a sistemi che salvano una copia delle mail sull'hard disk degli utenti. C'è Gmail Backup, che adesso risulta inaccessibile appunto per il boom di traffico. Oppure Backupify, che però diventa a pagamento oltre una soglia di dati archiviati (non solo posta, ma anche altri contenuti Google Apps, Facebook, Twitter, Picasa eccetera). Sono rimedi imperfetti perché richiedono tempo e spazio nell'hard disk. Riducono quindi i vantaggi tipici del cloud computing: la possibilità di affidare i propri contenuti (la posta, appunto, ma anche foto, video, documenti) a piattaforme internet, risparmiando risorse informatiche e rendendo i propri dati accessibili da qualsiasi postazione web.

La vicenda che ha colpito Gmail getta insomma una luce negativa sul fenomeno del cloud computing in generale. E' la prima volta che esplode un caso simile su Gmail, ma ce ne sono stati analoghi. A gennaio è capitato agli utenti di Hotmail, di Microsoft, uno dei sistemi di posta elettronica più usati al mondo (400 milioni di utenti). Alcuni utenti (non è stato stimato il numero esatto) hanno perso messaggi, cartelle e allegati. Microsoft era riuscita però,dopo un po' di tempo, a recuperarli. Basta una piccola ricerca per scoprire casi di sparizione riguardanti anche documenti affidati al cloud computing. Oppure la sfortunata vicenda, qualche giorno fa, di un fotografo professionista a cui Flickr ha cancellato per errore l'account con 4 mila foto. Poi è riuscito a recuperarle: al solito i servizi cloud rimediano a problemi simili, causati da bug o errori umani. Resta il fatto che queste vicende incrinano il rapporto di fiducia tra utenti e servizi, il quale è, in fondo, la colonna portante del cloud computing e anche del successo dei social network. Lo sanno bene anche gli utenti di Facebook che si sono trovati da un giorno all'altro privi del proprio account.

Comincia a farsi strada un'idea, anche se al momento solo tra gli utenti più esperti: che i propri contenuti e persino la propria identità online non è davvero sotto il nostro pieno controllo, se l'affidiamo a servizi gestiti da terze parti. In gioco non c'è solo la possibilità di perdere la posta, anche se solo per alcune ore o giorni. Questo problema di certo può causare danni morali o economici, ma è solo la punta dell'iceberg di un fenomeno. Che si può esprimere con una domanda: possiamo davvero fidarci del fatto che i gestori del servizio utilizzeranno i nostri dati in modo coscienzioso e rispettoso della nostra privacy?

E' il tema che porta anche ad affermazioni estreme, come quella di Richard Stallman, fondatore della Free Software Foundation e noto teorico della libertà digitale: chiama il cloud computing "careless computing", perché sarebbe da "scriteriati" affidare i propri dati e identità online a piattaforme su cui non abbiamo il controllo. Secondo Stallman e altri teorici, come l'italiano Marco Calamari (esperto di privacy e sicurezza informatica), perdere i propri dati è il minore dei rischi se ci affidiamo troppo al cloud computing. Un tema sollevato anche da Francesco Pizzetti, garante dell'autorità della privacy italiana, secondo cui bisogna porre regole più stringenti sui servizi cloud, a difesa dei diritti degli utenti. Soprattutto in vista di un futuro in cui sarà tutto sulle "nuvole", forse anche i dati delle pubbliche amministrazioni.

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