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Questo articolo è stato pubblicato il 03 marzo 2011 alle ore 17:32.

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Per anni si è parlato del l'avvento di internet sul cellulare, ma l'esperienza concreta è stata stupefacente. L'iPhone della Apple ha trasformato il mercato e introdotto il modello delle apps: piccoli programmi scaricabili da negozi digitali proprietari che usano internet. Google ha promosso Android, una piattaforma mobile compatibile con diversi dispositivi che ha replicato il modello su decine di telefoni. I negozi digitali di Apple, Google, Nokia, BlackBerry e Microsoft oggi hanno a catalogo quasi un milione di apps per telefoni e tablet.

Sono diventate "app" le previsioni meteo, i programmi che ottimizzano la produttività personale, giochi divertenti, videogiochi elaborati, riviste e giornali. Solo che c'è un problema di compatibilità. Chi scrive un'applicazione per una piattaforma dovrà poi ridisegnarla con le tecnologie proprietarie di un'altra e un'altra ancora. Lo stesso vale per l'utente: la prima volta che si passa da un "mondo" all'altro si ha un forte giramento di testa. Il web rappresenta un'opportunità. Oggi le applicazioni vivono in mondi chiusi e sfruttano internet, non il web aperto, che è un altro insieme di tecnologie nate con Tim Berners-Lee quasi vent'anni fa. Lo standard Html 5, ancora in fase di definizione, amplia le opzioni a disposizione di sviluppatori e utenti. Ecco le web apps: siti internet che offrono un'esperienza d'uso che si avvicina a quella delle applicazioni native.

Per l'American dialect society "app" è la parola dell'anno del 2010. In un mondo che viaggia alla velocità della luce nessun risultato può essere considerato acquisito. E indovinare oggi la parola dell'anno del 2011, per non dire del 2012, sarebbe un azzardo.
Le web apps sono nate prima di quelle proprietarie: Google, con la posta elettronica e programmi di scrittura e lavoro, ha fatto scuola sia sul desktop che sul mobile. Browser più potenti, processori dual core e reti super veloci Lte sono l'infrastruttura su cui prenderà forma il fermento creativo prossimo venturo. Le applicazioni native - un modello che funziona e ha consentito ai proprietari delle piattaforme una nuova fonte di ricavi da dividere con gli sviluppatori - gireranno più veloci. Mentre ci saranno nuove opportunità per le applicazioni basate sul web.

«Le web apps girano sul browser, non richiedono installazione e sono valide per ogni piattaforma – spiega Francois Daoust, responsabile delle iniziative sul web mobile di W3c, il world wide web consortium fondato a suo tempo proprio da Tim Berners-Lee –. Non hanno ancora tutte le caratteristiche delle applicazioni native, ma l'interoperabilità e l'autonomia dai grandi intermediari dell'industria mobile sono tratti distintivi molto attraenti».

«Il vantaggio per sviluppatori, editori e produttori di contenuti è poter realizzare una sola applicazione valida per tutte le piattaforme, senza dover passare dalle procedure autorizzative degli store proprietari – spiega Roy Smith, vicepresidente di AppMobi, azienda della Pennsylvania che ha appena lanciato il browser per web apps Mobius –. È importante soprattutto per le apps che richiedono costanti aggiornamenti che dovrebbero essere vagliati di volta in volta. Sul lato dello sviluppo è una riduzione dei costi. Sul lato dei ricavi, si esce dal modello che prevede il 30% per il proprietario della piattaforma e il 70% per lo sviluppatore».

Si può immaginare che le web apps verranno distribuite da store indipendenti sul modello di GetJar o AppoLicious, ma «non credo sia necessaria una particolare organizzazione – spiega Peter-Paul Koch, pioniere dello sviluppo di applicazioni web, da due anni passato al mondo mobile –. Il web ha fatto benissimo negli ultimi 15 anni. Basta Google per avere i risultati che servono. Sarà lo stesso per le web apps. Gli app store possono essere utili ma non necessari».

Secondo Kock, che lavora come consulente ad Amsterdam, «gli sviluppatori di applicazioni web hanno già il 95% delle competenze necessarie per fare lo stesso anche sul mobile, ma al momento sono timidi perché pensano che le applicazioni native offrano un'esperienza d'uso migliore, il che è vero ma solo fino a un certo punto. Quello che manca è un serio coinvolgimento da parte delle aziende (produttori e operatori) che credono nelle web apps. La prima che lo farà avrà un grande vantaggio competitivo sui concorrenti».

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