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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 06:48.

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NEGLI ANNI 60 John McCarthy IPOTIZZAVA CHE IL COMPUTING AVREBBE POTUTO ESSERE ORGANIZZATO COME UNA UTILITY Il cloud computing consente alle aziende di risparmiare sui costi di acquisto e di gestione della tecnologia. Ma bando agli entusiasmi. Non ci si può affidare a occhi chiusi a un fornitore di servizi cloud: si rischiano problemi e costi extra se si è troppo frettolosi nel firmare il contratto. È il tema emerso ieri durante il convegno «1st Global Cloud Computing», organizzato a Milano da Business International. Il clima in effetti sta cambiando: si entra in una fase "post-ideologica", più matura, nei confronti dei servizi cloud. Li si guarda con maggiore consapevolezza dei pro e dei contro.
Lo confermano anche due rapporti, di Gartner e Vanson Bourne. Il primo rileva che i contratti dei servizi cloud sono ancora inadeguati alle esigenze dei clienti. Sono poco trasparenti e poco dettagliati, riguardo alle responsabilità e agli impegni del fornitore. I servizi sono scarsamente personalizzabili e tendono a essere a compartimento stagno: rendono difficile cambiare fornitore (è il problema noto come "vendor lock-in"). Il secondo studio sottolinea che le aziende perdono un milione di dollari l'anno negli Usa e 750mila in Europa a causa delle scarse prestazioni. Beninteso, la colpa non è della tecnologia in sé, ma dei contratti e/o dell'avventata adozione da parte dei clienti. «Abbiamo valutato e rifiutato i servizi cloud, perché ci obbligavano a legarci troppo al fornitore», ha detto Enrico Frascari, Cio di Seat Pagine Gialle. Emerge l'immagine della cloud come di un estremista che fa tabula rasa del passato: «Non tiene conto degli investimenti tecnologici già fatti». Ne derivano sprechi che potrebbero essere evitati. «Sento in giro tante parole sulla cloud, ma ancora si parla poco dei problemi legati alla migrazione dei sistemi informatici delle aziende», riassume Frascari. In generale, sono problemi tutti riconducibili a una scarsa flessibilità dei servizi.
Certo, al convegno, sono emersi anche casi di successo: come quello dell'Istituto del commercio estero, 2mila utenti passati al cloud di Google, tramite il partner Scube New Media. Ma anche in questo caso è emerso che la migrazione non poteva essere fatta a occhi chiusi: ha dovuto superare alcuni problemi tecnici; ha richiesto 40 sessioni di formazione del personale. La lezione: la migrazione va gestita con cura. Da parte del fornitore, certo. Ma anche del cliente, che deve mettere in conto una fase di adattamento dei processi aziendali ed essere attento alle clausole contrattuali, per evitare sorprese. Non è solo una questione di costi, di problemi e di fatica connessi al cambiamento.
Ma c'è in ballo anche la privacy e il controllo sui propri dati personali. È una grossa questione ricordata al convegno da Francesco Pizzetti, presidente dell'Autorità garante della privacy. I nostri dati, una volta affidati a servizi cloud, sono archiviati in computer lontani, in altri paesi. Dove possono valere leggi sulla privacy più leggere di quelle europee (che sono tra le più severe al mondo, a tutela dell'utente). Anche per questo aspetto c'è chi suggerisce alle aziende di fare attenzione. E di pretendere contratti che garantiscano un adeguato rispetto della privacy e di poter liberare i propri dati. «Sono pochi i fornitori che offrono un piano di "data liberation", cioè la possibilità di spostare i propri dati fuori dalla loro cloud», dice Emanuele Cerroni, di Scube. Da Barclays hanno segnalato le difficoltà di trattare i dati in cloud da parte di istituzioni finanziarie, per questioni di privacy e sicurezza. E, fatti due conti, si può anche dire «No, grazie». Come ha fatto Wind: «Abbiamo scelto di non migrare Libero alla cloud. I vantaggi erano sbilanciati rispetto ai rischi relativi alla privacy e alla disponibilità dei dati in remoto», dice Sandro Allione, responsabile del Delivery and Service di Wind.
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Otto precauzioni per un contratto I contratti spesso favoriscono il provider: il servizio è poco personalizzato e offerto uguale a tante aziende diverse.
I contratti sono poco trasparenti e i loro termini possono cambiare in corso d'opera, con clausole poco dettagliate.
Bisogna valutare le clausole sulla privacy, per sapere in che modo i propri dati sono trattati nei datacenter remoti.
Non ci sono standard di interoperabilità tra i servizi, ci si lega quindi a un fornitore ed è difficile migrare.
La cloud trasforma i costi iniziali in costi di esercizio e questo può penalizzare il risultato marginale.
Attenzione a tempi e costi: migrazione dei servizi, formazione del personale, adattamento dei processi.
I fornitori a volte non chiariscono i termini di qualità, continuità di servizio e responsabilità in caso di problemi.
Pro e contro. Le aziende iniziano a valutare meglio i pro e i contro del cloud computing e scoprono gli aspetti in ombra che è meglio tenere presente prima e durante l'eventuale passaggio a questi servizi
I fornitori tendono a non considerare gli investimenti già fatti dall'azienda, il che comporta uno spreco di risorse.

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