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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 06:47.

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Fin dove arriverà il nostro desiderio di possedere automi che ci liberino dalle fatiche e dalle incombenze della vita quotidiana? Magari fino al punto di creare robot “umani, troppo umani” capaci, per compiacerci, di provare “emozioni artificiali” analoghe alle nostre? Lungi dall'essere semplice fantascienza (come nel recente film “Io, Robot”), quella degli automi dotati di una propria vita emotiva è una prospettiva che si sta facendo sempre più concreta.
Secondo Giuseppe O. Longo, teorico dell'informazione dell'Università di Trieste che da anni si occupa di temi come l'intelligenza artificiale e il postumano, gli esseri umani intrattengono con le cose che li circondano relazioni piuttosto articolate. «Non siamo le uniche creature a possedere un corredo emotivo – anche gli altri mammiferi, e in particolare gli animali domestici, hanno una vita emotiva con cui facciamo i conti. È anche vero che alcune macchine stimolano in noi la formazione di un legame affettivo – per esempio le automobili. Inoltre a certe macchine o artefatti, soprattutto se antropomorfi, tendiamo istintivamente ad attribuire emozioni – è il caso delle bambole».
Proprio per rispondere a tali esigenze psicologiche sono in fase di sviluppo (soprattutto in Giappone) i cosiddetti “emotional robots”, automi dotati di telecamere oculari e appositi software che consentono loro di interpretare le emozioni umane e di simulare le espressioni facciali e gestuali con cui comunichiamo rabbia, gioia, tristezza e quant'altro.
La strada verso l'umanizzazione delle macchine è irta però di difficoltà, e in particolare deve attraversare la cosiddetta “valle perturbante”. Con questo termine – coniato nel 1970 dallo studioso giapponese di robotica Masahiro Mori – si indica l'istintiva repulsione verso qualunque oggetto non umano che sia però quasi del tutto simile a noi. E così, ad esempio, tendiamo a provare simpatia per bambole, pupazzi, burattini o automi umanoidi (come il robot Asimo, creato dalla Honda), e questo apprezzamento cresce con il crescere della somiglianza di questi ultimi a noi. Quando però tali simulacri dell'uomo diventano troppo realistici, cioè ci assomigliano in modo quasi perfetto, il gradimento crolla – da ciò il termine “valle perturbante”. In pratica sentiamo istintivamente che c'è “qualcosa che non quadra” e proviamo repulsione. È il caso di alcuni recenti automi iper-realistici (come CB2, un robot dell'Università di Osaka che imita i comportamenti di un bambino) o di figure cinematografiche quali gli zombi di George Romero.
Secondo Longo «il primo passo verso gli automi emotivi consiste nel far sì che le macchine possano rilevare le emozioni umane, mentre la seconda fase consiste nel attribuire agli automi la capacità di esprimere emozioni, cioè di simulare le espressioni emotive umane». Come abbiamo visto, per quanto riguarda questi due obiettivi, siamo già sulla buona strada. «Il terzo passo sarebbe invece quello di consentire ai robot di provare vere e proprie emozioni; al di là delle difficoltà tecniche, tale obiettivo si scontra con una questione filosofica molto problematica, ossia l'impossibilità da parte nostra di sapere con certezza se le macchine riescano o meno a provare realmente emozioni». Per saperlo infatti dovremmo in qualche modo riuscire a entrare in contatto diretto con la loro mente – se di mente si può parlare – e assorbirne i contenuti. «Infine il passo finale sarebbe quello di attribuire a tali macchine una forma di coscienza riflessa, ossia la consapevolezza delle emozioni che stanno provando». Fermo restando che le emozioni umane e quelle robotiche presenterebbero sempre alcune differenze sostanziali. «Nel caso dell'uomo le emozioni si sono evolute progressivamente, come risposta evolutiva all'ambiente esterno. Gli automi invece sono stati sviluppati in un ‘ambiente protetto', dove non vi è alcuna forma di selezione naturale, ed è chiaro quindi che per essi le emozioni artificiali non avrebbero un valore di sopravvivenza». Per non parlare del rapporto tra emotività e capacità cognitive: «Nell'uomo cognizione ed emotività si sono co-evolute in modo graduale, mentre negli automi le emozioni si troverebbero ad essere semplicemente ‘sovrapposte' di punto in bianco all'apparato cognitivo robotico».
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