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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2011 alle ore 06:50.

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Morozov durante l'intervista con la redazione di Nòva (foto ItalyPhotoPress)Morozov durante l'intervista con la redazione di Nòva (foto ItalyPhotoPress)

Nel suo libro, «The Net Delusion», Evgeny Morozov confessa: «Sono stato uno dei primi a cadere nella trappola della Rivoluzione Twitter, battezzando così alcune proteste in Moldova». Poi, si è pentito.

Morozov, nato in Bielorussia 27 anni fa: «Avrei voluto chiamare il libro "L'ingenuità della rete", ma l'editore ha pensato che un titolo che echeggiasse quello di Richard Dawkins sarebbe stato più incisivo».

Morozov è uno dei commentatori più autorevoli sul rapporto tra politica internazionale e nuovi media. Ha incontrato la redazione di Nòva24 in un'intervista collettiva che potete vedere in questi video, divisi per i principali temi affrontati:

- L'agenda dell'innovazione locale
- Blogger e dissidenti nei paesi emergenti
- Le proteste in Nordafrica
- Cyberwar civile
- Le frontiere della censura
- Net Neutrality
- Oltre Wikileaks
- L'informazione con i social network
- Paure e realtà delle cyberwar
- Piattaforme di conoscenza

Morozov scrive per pubblicazioni prestigiose: da «Foreign Affairs» alla «Boston Review», passando per i principali grandi giornali mondiali: «Economist», «Wall Street Journal», «Financial Times», «Newsweek», «Herald Tribune» tra gli altri. È visiting scholar alla Stanford University e Schwartz fellow alla New America Foundation. Ha fatto ricerca anche all'Open Society Institute di George Soros.

Ma le sue esperienze formative più importanti sono state in Europa. «Nel 2005, dopo l'università, – racconta nell'intervista – ho iniziato a sviluppare l'interesse per new media e social network, che stavano diventando molto popolari negli Usa soprattutto dal punto di vista politico, con la candidatura alle primarie democratiche di Howard Dean nel 2004. Si discuteva molto.

E io mi sono chiesto quale impatto avrebbero avuto le nuove tecnologie in Bielorussia e nei Paesi emergenti più in generale». Lavorando nel settore ha iniziato a vedere con occhi diversi il reale funzionamento degli aiuti per lo sviluppo della democrazia tramite i nuovi media.

«Ho incontrato blogger, attivisti, giornalisti, frequentatori di social network dei Paesi emergenti di quel l'area. Molti ricevevano denaro da fondazioni occidentali con l'idea che avrebbero fatto da apripista nella democratizzazione. Sono diventato sempre più scettico fino a licenziarmi. Avevo capito che in Occidente non era chiaro l'effetto perverso che i fondi avevano sul mercato dei new media locali. Come in Africa, dove i soldi della cooperazione spesso azzerano le economie locali e i talenti, così i soldi spediti per internet rendevano tutti dipendenti dai progetti occidentali, che regolarmente fallivano per essere ricreati in altri contesti».

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