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Questo articolo è stato pubblicato il 27 aprile 2011 alle ore 09:08.

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«Basta con Facebook. Oggi, dopo quello che è successo, tengo solo un profilo strettamente professionale su Linkedin». R.S. oggi ha 29 anni, una laurea in design in tasca e una gran voglia di dimenticare il passo falso compiuto lo scorso anno quando, assunta in prova in una società di comunicazione e giunto il momento di firmare l'ambito contratto a tempo indeterminato, si è vista stringere la mano dal responsabile delle risorse umane che, invece di accompagnarla alla sua scrivania, già le stava indicando la porta con un semplice «arrivederci, grazie e buona fortuna per il suo futuro».

«Di certo è stata colpa mia - racconta -. Ne sono convinta, tutto stava andando benissimo, avevo anche ricevuto un paio di apprezzamenti dal capo ufficio». Poi un pomeriggio, mancavano solo due settimane allo scadere del periodo di prova, uno sfogo gratuito sul profilo di Facebook contro il suo tutor e il gioco si è rotto. «Non ho la matematica certezza che quel commento sconveniente sulla mia bacheca sia stato il vero motivo della mancata conferma - spiega -, ma lo giudico molto probabile. Le mie capacità in azienda erano già state apprezzate da più di un responsabile. Unico neo, appunto, la pedanteria della persona a cui ero stata affidata per il periodo di prova, a mio avviso il solito raccomandato senza qualità che si crede una cima, come appunto ho scritto, senza fare nomi ovviamente».

Sulle prime, R. non ci aveva nemmeno pensato che all'origine della sua mancata conferma ci fosse il web.
«Ma poi - prosegue - mi sono accorta che il mio post era stato commentato da qualche amico che avevo in comune con il mio tutor. Lì ho capito l'erroraccio di mischiare amicizie e rapporti di lavoro senza tracciare fra i due mondi un confine netto. Non l'ho raccontato ai miei genitori, mi avrebbero preso per una stupida. E in effetti un po' lo sono stata. Mai più una leggerezza simile».

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