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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2011 alle ore 21:48.

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Ibm: "privato, pubblico o ibrido: ecco come si serve il cloud nelle aziende"Ibm: "privato, pubblico o ibrido: ecco come si serve il cloud nelle aziende"

Nel 2015, secondo le previsioni dei vertici di Ibm, il cloud computing sarà una delle aree di crescita più dinamiche del business di Big Blue e in grado di generare qualcosa come sette miliardi di dollari di fatturato. Un obiettivo ambizioso per cui il colosso americano non ha lesinato e non lesinerà nei prossimi cinque anni sforzi in fatto di investimenti. Fra ricerca e sviluppo e acquisizioni mirate la società ha speso finora oltre tre miliardi di dollari e di pari passo sono cresciute via via le risorse destinate alle soluzioni cloud. Sia dal punto di vista del personale (più di 200 I ricercatori impegnati ogni giorno sulla sicurezza della nuvola e sulla privacy, 11 laboratori di sviluppo in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone, e vari centri di competenza dedicati, come il Tivoli Lab di Roma) che da quello delle risorse informatiche, con ben cinque data center adibiti esclusivamente all'erogazione dei servizi che danno vita alla piattaforma SmartCloud di Ibm. Per chiudere il cerchio, la società esibbisce nel suo biglietto da visita anche un altro numero, quello delle 4,5 milioni di transazioni con i clienti gestite per giorno lavorativo all'interno della propria nuvola.

Numeri importanti, che fanno da corredo a un approccio verso le aziende che Daniele Berardi, Vice President Global Technology Services di Ibm Italia, ha di fatto sintetizzato così nel corso di un recente incontro con la stampa: «Quello che fa Google per milioni di utenti consumer non ci interessa. La nostra visione del cloud è in chiave business to business e la nostra missione è quella di risolvere i mal di testa dei responsabili It che decidono di implementare un'infrastruttura cloud all'interno della propria organizzazione. C'è chi offre componenti specifici e chi ha una seria strategia cloud ed è in grado di realizzare una soluzione realmente "end to end"». Uno smarcamento netto, quindi, dal luogo comune secondo cui tutti possono cavalcare (e senza particolari componenti distintive) il fenomeno della nuvola di dati.

Ibm, come tutti, ha una visione del cloud di questo tipo: è un nuovo modello di consumo e di fruizione delle risorse informatiche, scalabile, self-service e pay-per-use per cui potenza elaborativa, dati e applicazioni sono messi a disposizione come servizio attraverso Internet, dai server del provider (cloud pubblico) o attraverso le reti aziendali (cloud privato). Tre quindi i modelli cui riferirsi – ai due di cui sopra si aggiunge quello ibrido quale combinazione dei precedenti – e tre le declinazioni attraverso le quali aziende (pubbliche e private) e service provider (system integrator e affini) possono accedere ai servizi cloud, e cioè software (applicazioni di business), infrastrutture (server e apparati di rete e di storage) e piattaforme (tool di sviluppo, database e middleware) forniti in modalità "as a service".

A questi tre "strati" che abilitano la migrazione nella nuvola, Ibm ne aggiunge una quarta – il business Process as a Service, in cui confluiscono processi di gestione aziendali di varia natura – che, parole di Gianfranco Previtera, Vice President Strategic Initiatives per Big Blue in Italia, «rappresenta un grande potenziale del cloud perché può ridefinire nuovi modelli di business per condividere dati all'interno e all'esterno dell'azienda». Un esempio? Una concreta espressione di questo beneficio insito nel computing a nuvola secondo Ibm è "smarter commerce", e cioè un sistema che permette di comprare e vendere prodotti integrando processi e interazioni attraverso strumenti di collaborazione e analisi dei dati. Un sistema, precisa Previtera, «i cui elementi portanti sono le soluzioni software che Ibm ha acquisito dalle aziende specializzate comprate in questi anni», vedi Cognos (business intelligence) o Sterling Commerce (piattaforme di e-commerce B2B). Altro tassello, che Ibm giudica essere una componente fondamentale per lo sviluppo futuro di modelli cloud, è la business analytics ed in tal senso va registrato l'annuncio di Coremetrics Lifecycle, un software ora disponibile anche in modalità cloud che ha una precisa funzionalità, quella di aiutare le aziende a sfruttare tutte le potenzialità del marketing on line.

I cardini alla base della visione cloud di Ibm sono in linea generale sostanzialmente due: il service management (l'omonima piattaforma di Tivoli), «un asset – secondo Previtera – vitale per la creazione di un ambiente cloud perché garantisce la componente di governance necessaria per il collegamento tra tecnologia ed esigenze del business», e l'integrazione fra ambienti di cloud privati e pubblici e livello di applicazioni, non a caso (fanno notare non a caso da Big Blue) una delle criticità maggiori e più ricorrenti evidenziate dalle aziende che spostano risorse nella nuvola.

Per chiudere il cerchio e marcare le differenze con gli altri vendor di cloud, Ibm ci mette tutto il suo ampissimo menu di servizi - di consulenza, supporto, analisi e via dicendo – per preparare a dovere le aziende al grande passo, dando loro precise indicazioni sul come spendere per il cloud ha ritorni dell'investimento assolutamente calcolabili. Se poi il computing a nuvola, la cui prerogativa più venduta è quella di poter ridurre i costi di gestione, "rischia" di limitare la spesa in informatica delle aziende italiane nei prossimi anni, l'opinione di Berardi in proposito non ha bisogno di molti commenti: «Gli investimenti It nei Paesi maturi cresceranno poco o molto poco, quelli nei mercati emergenti molto. In Italia dobbiamo pensare in generale a livelli di spesa stabili ma è indubbio che al cloud si sta pensando molto ed è lecito pensare a uno sostanziale crescita di questo segmento».

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