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Questo articolo è stato pubblicato il 12 maggio 2011 alle ore 06:47.

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NEL SUO LIBRO Federico Neresini ANALIZZA LE ASPETTATIVE GENERATE DAI MEDIA SUL NANOMONDO
Un nuovo mondo ci aspetta dietro l'angolo e se ne vedono già le microscopiche avanguardie: molecole nuove per medicine più efficaci, creme per una pelle da sogno o tessuti che si puliscono da soli. È il mondo delle nanotecnologie descritte, all'inizio del millennio, come il fenomeno più innovativo e promettente. Dove sono finite oggi e cosa vuol dire veramente innovazione? Molti di noi pensano che il progresso preveda che la scienza ricerchi, la tecnologia applichi e infine il mercato ci faccia "apparire" l'innovazione, e questo genera l'idea, spesso ansiogena, che la tecnoscienza sia troppo veloce nel cambiare la nostra società.
Va proprio così o è anche che allo sviluppo dell'innovazione noi stessi collaboriamo senza accorgercene? «Il nano mondo che verrà», che è anche il titolo di un recente libro di Federico Neresini, sociologo dell'Università di Padova e presidente del Centro Studi "Observa - Science and Society", sembra essere il miglior campo mai avuto per studiare questa catena che porta dalla scienza alla nostra vita quotidiana.
Le nanotecnologie si occupano di applicazioni fra 1 e 100 nanometri. Dimensioni difficili da visualizzare dato che "nano" sta per miliardesimo di metro: basta pensare che con la doppia elica del Dna siamo sui due nanometri e con un batterio, la forma più semplice di vita, sui 200. Sono a oggi circa un migliaio i prodotti nanotecnologici sul mercato, anche se ci si aspetta un livello di complessità ben maggiore, come nano robot da immettere in vena per riparare cellule danneggiate, nuovi materiali o mini robot atomici che costruiscono macchine più grandi e così via, come in un nuovo viaggio di Gulliver dal macro mondo, il nostro, al micro mondo degli atomi e viceversa.
Nell'informazione però le nanotecnologie, dopo un periodo di ubriacatura mediatica, sembrano da mesi scomparse. Eppure nella società ci sono, eccome, basta guardare l'aumento vertiginoso di pubblicazioni scientifiche dal 2000 a oggi o le start up, anche italiane, formatesi nel campo.
Il dato più chiaro è contenuto nel piano strategico Usa per il 2011 «National Nanotechnology Initiative»: nel 2007 1.425 milioni di dollari investiti, nel 2011 sono 1.850 e l'anno prossimo un altro salto: 2.129 milioni. Una cifra importante e con una particolarità unica: fin dall'inizio il progetto ha previsto una percentuale consistente, attorno al 3%, dai 40 ai 70 milioni di dollari anno, per lo studio e la gestione dell'impatto sociale.
È la prima volta che i sociologi possono seguire lo sviluppo di un fenomeno così importante fin dal l'inizio, si potrebbe dire quasi "embedded" nella ricerca stessa che peraltro è già l'incrocio di tante discipline diverse, dalla chimica alla biologia alla fisica. Un'occasione unica di analisi: un caso di innovazione anticipata dai media che ha creato aspettative forti con la proiezione di scenari che sembravano dietro l'angolo e invece sono di là da venire.
Di sicuro al momento nelle nanotecnologie ci sono le dimensioni dei fenomeni trattati, che restano fra 1 e 100 nanometri come detto. Gli altri confini sono invece incerti e si discute su come procedere, con approcci che sono molto diversi fra loro, dato che c'è chi vuole andare dall'atomo al macro mondo e chi all'incontrario vuole usare in modo nuovo la chimica convenzionale per arrivare all'atomo. Bottom up e top down, siamo sempre alla stessa guerra anche qui.
Ma la gente e gli investitori ci credono comunque come dimostrano i numeri e le rilevazioni dei focus group di opinione. Nel pubblico c'è aspettativa, in parte anche disinteresse, e in generale si pensa che un giorno i prodotti nano "compariranno" nella nostra vita.
Così però continuiamo a percepire l'innovazione come una discontinuità, mentre è un continuo divenire che ha bisogno di un contesto sociale che partecipa e la supporta. Pensiamo ai cellulari, modificatisi poco a poco da oggetti grandi come una scatola da scarpe con tanto di cornetta fino ai sofisticati smartphone di oggi in cui la tastiera, virtuale o fisica, ha un ruolo essenziale per scrivere sms, non previsti all'inizio ma richiestissimi dagli utenti, o per usare oggi i social network, che non erano diffusi fino a un paio di anni fa.
L'innovazione non è insomma la società con un pezzo nuovo calato dall'alto, questa è la tesi, dimostrata, da Neresini nel suo libro e la furia mediatica sullo sviluppo delle nanotecnologie è dovuta, secondo lui, alla «fame di rottura» che ha la nostra inquieta società in questi anni.
Insomma, basta mettere un sociologo al lavoro e neppure il futuro resta più quello di una volta...
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