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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2011 alle ore 06:52.

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«L'enorme massa di dati personali che ogni giorno gli utenti riversano in rete è il nuovo petrolio». A parlare è Andrew Keen, imprenditore e scrittore angloamericano noto in rete per le sue posizioni critiche nei confronti della Web2.0, intervenuto dal palco della Next Conference 2011 di Berlino. «Ogni azienda – ha affermato –, da Linkedin a Facebook, da Foursquare a Twitter, dipende da noi e dai dati che decidiamo di condividere».
Secondo Keen, è necessario che gli utenti della rete comprendano il valore dei loro dati e ne recuperino il controllo. «Ora siamo in pieno "Wild West" – denuncia – e ci resteremo finché i governi non imporranno dei limiti». E aggiunge: «La risorsa che scarseggia è la privacy. Servono strumenti per difenderla». Una posizione controcorrente, esposta in un convegno intitolato «Data Love: i dati sono per la nostra economia ciò che l'elettricità ha rappresentato per l'era industriale».
Dopo Keen sul palco sale l'italiano Euro Beinat, professore all'Università di Salisburgo. La musica cambia. Beinat studia «come le tracce digitali che disseminiamo in rete possano essere aggregate in maniera anonima, analizzate e strutturate per comprendere e infine prevedere le dinamiche di vasti sistemi complessi». Per esempio per misurare la presenza e i movimenti delle persone in un dato luogo. Le applicazioni sono affascinanti: «Per esempio – spiega Beinat – si possono prevedere i movimenti delle persone durante grandi eventi, organizzando assistenza, servizi, vie d'acceso e di fuga». Non mancano applicazioni in ambito business: si può per esempio stimare il ritorno d'investimento nel turismo seguendo i movimenti dei visitatori.
Meno ottimistica è la visione di Johan Staël von Holstein. Secondo l'imprenditore svedese, l'enorme valutazione economica di Facebook è la prova provata del reale valore dei dati personali per le aziende che li sfruttano. La verità – ammonisce – è che non possiamo fidarci di queste aziende: «Dobbiamo riprendere il controllo delle informazioni, per affrancarci dalla nuova "schiavitù digitale" di cui siamo vittime».
Il World Economic Forum, con il programma «Rethinking Personal Data», sta provando a capire come raccogliere, aggregare e mettere a frutto i dati personali senza violare i diritti degli utenti. «La sfida – spiega Fabio Sergio, design and user experience strategist per Frog – è creare ecosistemi aperti basati su chiare regole di condotta, cui le aziende devono aderire». «Presto – continua Sergio – esploderanno servizi e device come gli smartphone, che produrranno e immetteranno in rete ancora più informazioni».
Dobbiamo essere pronti a gestire la nostra identità in un mondo dove, per citare Tim O'Reilly, la maggior parte dei dati che ci riguardano non saranno inseriti in rete attraverso una tastiera.
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