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Questo articolo è stato pubblicato il 02 giugno 2011 alle ore 07:01.

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Riprendere il controllo, tornare a impossessarsi di funzioni e possibilità prima precluse. Sperimentare, modificare, giocare con le macchine, quelle fatte di software e silicio. Ritornare alle origini della microinformatica, ai concetti originari di hacking e del leggendario Homebrew Computer Club di Menlo Park, quel café tecno-intellettuale che ha acceso la prima rivoluzione del pc. Oggi come allora, si scavalcano le barriere e si arriva al nucleo. Questo è il senso del rooting, l'attività di modifica software di cellulari con sistema operativo Android che permette di attivare funzioni non concesse dal costruttore e bloccate dal "papà" Google, una fra tutte l'installazione di firmware alternativo e "fatto in casa", distribuito sul web preferibilmente all'interno di community (ma anche tramite application store alternativi) composte da appassionati e smanettoni che non ci stanno alla pappa pronta, a rispettare le regole e a piegarsi ai vincoli di prodotti che, troppo semplici da usare, sono senz'anima. E non regalano più sfide e che dire di quel batticuore del "funzionerà ancora" dopo la "manomissione" (controllata)?

Il rooting è una sorta di trasposizione in ambito mobile e software del modding, dell'antica moda tecnologica, ora semi-abbandonata sulla scia della diffusione di notebook molto funzionali ma emozionali come una saponetta (non è un caso che si cerchino brividi provando a mettere Mac Os e Linux sui portatili bonsai), di modificare e creare pc da soli, scegliendo il meglio dei componenti hardware e facendo l'overclock del processore. In questo caso però si modifica anche il sistema operativo per lo smartphone: perché è di questo che poi si parla, di prendere la piattaforma di Google e piegarla alle proprie necessità. Sì, perché la componentistica di un telefonino è poco modificabile. Tutt'al più si può variare la frequenza operativa della Cpu e aggiungere memoria attraverso la memory card. Dove c'è più margine di intervento è sul sistema operativo, aprendolo completamente guadagnando tutti i privilegi (il cosiddetto root ovvero l'amministratore di sistema di Linux e Unix) oppure sostituendo Android con una versione cosiddetta "customizzata", ovvero modificata da qualche sviluppatore che ne ha variato la dotazione di applicativi, l'interfaccia o il peso, alleggerendo l'Os con l'eliminazione di servizi e funzioni inutili.

L'operazione di rooting è in parte simile al jailbreak per iPhone, quantomeno nella filosofia. Entrambe mirano a togliere i lucchetti software: nel primo caso con un escalation delle funzioni e dei comandi disponibili; nel secondo caso togliendo i paletti imposti da Apple. Insomma, rooting e jailbreak fanno andare oltre il potenziale di serie delle macchine. Il rooting in più consente di installare un Android differente da quello di serie. La procedura prevede, a seconda del modello, un intervento a basso livello attraverso procedure guidate per gli androidi più diffusi o una lista di comandi da inviare attraverso console apposite. Per installare una piattaforma differente bisogna poi scaricarla e passare dalla memory card di fatto "formattando" la memoria centrale. Un vero percorso a ostacoli, che conviene tentare solo dopo un'attenta analisi delle problematiche, dopo aver recuperato tutto il kit software necessario e verificato che sia effettivamente possibile. Magari in modo indolore. Perché se si sbaglia, e questo è il rischio, si può incappare nell'annullamento della garanzia del dispositivo. Perché di manomissione si tratta. Se siete comunque desiderosi di procedere, fatevi aiutare da un amico o dai forum: in internet troverete tutte le risposte.

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