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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2011 alle ore 08:18.

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Innovazione fatta a mano. Valore aggiunto dell'abilità. Maestria manuale per l'economia della conoscenza. È un'epoca di opportunità e rischi per l'artigianato italiano che si confronta con un cambiamento di contesto globale le cui caratteristiche potrebbero rivalutarne il carattere o spiazzarne la competitività. Quale sarà l'esito del dilemma? La ricerca di Stefano Micelli, economista a Venezia e autore di "Futuro artigiano", offre un insieme di risposte: richiedono un tipo di innovazione che – come dice Micelli nel sottotitolo – è «nelle mani degli italiani» (Marsilio 2011).
Il processo di industrializzazione, per la verità, era stato una gigantesca sfida alla tenuta del sistema artigiano. Le radici di quella sfida si possono ricordare citando l'intuizione di Richard Sennett, autore de "L'uomo artigiano": «L'artigiano sa fare, ma non sa dire quello che sa fare». È il suo mistero, il suo fascino e la sua condanna, almeno nel contesto industriale. L'artigiano tradizionalmente impara guardando il maestro che lavora e insegna mostrando come si fa un lavoro. L'industrializzazione, invece, era stata in fondo una codifica delle procedure che andavano seguite per realizzare il prodotto, in modo da poter definire ogni operazione umana in funzione delle necessità della catena di montaggio. L'automazione nei mercati tradizionali, grande settore dell'innovazione italiana, era stata un modo per proceduralizzare il sapere artigiano. E genera una quota significativa dell'export italiano. Ma qualcosa di indicibile è rimasto nelle mani delle persone che sanno come si fa un lavoro. E quel qualcosa resta una grande opportunità italiana. Il che è concretamente spiegato dalla scoperta di Micelli. «La globalizzazione ha cambiato le regole del gioco – dice – la conoscenza dell'artigiano, nella sua capacità di essere cultura, creatività e personalizzazione, è complementare alla conoscenza del mondo industriale, non antagonista».
Già. Nell'economia della conoscenza il valore si concentra sull'immateriale: l'immagine e la ricerca, l'informazione e la qualità, il senso che si può riconoscere nei prodotti. Ma l'immateriale si trasmette attraverso oggetti e infrastrutture che ne costituiscono i media di comunicazione. Le storie raccontate da Micelli dimostrano quanto sia grande il potenziale di sviluppo per gli artigiani italiani che operano in questo nuovo contesto. La conoscenza dell'artigiano si applica nelle fasi di massima intensità di progettazione, manutenzione, customizzazione delle produzioni industriali, come nel caso dei professionisti della realizzazione di modelli raccontati da Micelli e «che operano a valle di stilisti e designer» oppure «come nel caso di installatori di mobili e degli sviluppatori di software», attività nelle quali «è cruciale il processo di adattamento dei prodotti delle imprese alle esigenze della domanda». E Micelli, consapevole della vastità e profondità della sua ricerca, conclude: «Il lavoro artigiano, insomma, è un enzima che completa e arricchisce i processi standardizzati tipici dell'industria».
Per l'innovazione all'italiana è una miniera. In un'Italia internazionalmente debole nell'organizzazione di reti infrastrutturali che fanno servizi o prodotti a grande volume e basso valore aggiunto, l'artigianato innovativo è la sorgente di un alto valore aggiunto per produzioni di limitato volume. E quindi il tema strategico per l'innovazione artigiana è alimentare le fonti di quel tipo di innovazione, collegarle agli sbocchi internazionali senza far loro perdere il controllo del prezzo. E si scopre, con Micelli, che l'investimento fondamentale per riuscire in questa impresa strategica è l'investimento in educazione.
Non stupisce. «L'artigiano sa fare, ma non sa dire quello che sa fare». Quindi si legge il valore dell'artigiano solo in base a una cultura che insegna a riconoscerlo. Il valore immateriale si può sintetizzare nella notorietà di un brand, ma la capacità di riconoscere la qualità va oltre la fiducia in un marchio. Dipende da qualcosa di altrettanto impalpabile: solo una cultura diffusa e condivisa conosce la qualità indicibile dell'opera dei maestri e genera giovani che desiderino a loro volta diventare dei maestri. Solo un contesto che investe in educazione sa innovare sulla scorta della conoscenza sedimentata nella storia.
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