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Questo articolo è stato pubblicato il 29 giugno 2011 alle ore 18:15.

Cassonetti vuoti, strade pulite a Napoli e la parola fine che mette termine all'eterna emergenza spazzatura che si aggrava giorno dopo giorno. Per questo miracolo sotto il Vesuvio basterebbe adottare il modello Torino, dove attualmente è in fase di costruzione un impianto di termovalorizzazione da 420mila tonnellate l'anno, una capacità sufficiente a ripulire dalla spazzatura la capitale partenopea. L'impianto torinese prevede un investimento complessivo di 503 milioni di cui 90 finanziati dal comune di Torino e i restanti 413 dalle banche. Questo lo scenario prospettato da Vittorio Chiesa, direttore dell'Energy e strategy group del Politecnico di Milano e curatore dell'edizione 2011 del «Biomass Energy report», presentato il 28 giugno.
Alla termivalorizzazione dei rifiuti, il rapporto dedica ampio spazio
Perché, nonostante l'emergenza rifiuti, il nostro paese continua a scontare un forte deficit di impianti di questo tipo mentre le discariche in alcune regioni si stanno rivelando insufficienti. In cantiere c'è un nuovo round di termovalorizzatori: oltre a Torino si lavora a Trento, Salerno (dove l'appalto per i lavori è stato appena aggiudicato) e Napoli Est; a Verona si punta invece a realizzare una nuova linea che si aggiungerà alle esistenti.
Attualmente sono in attività 53 impianti che nel 2010 hanno incenerito oltre 4,6 milioni di tonnellate di rifiuti. Secondo lo studio entro il 2015 si aggiungeranno impianti per altri 1,7 milioni di tonnellate di capacità con un aumento di oltre il 35%. Alcune di queste strutture avranno una capacità di oltre 400mila tonnellate l'anno, «una dimensione - sottolinea Chiesa - in linea con gli standard di efficienza europei». Impianti che in più producono energia elettrica che immessa in rete vale un introito di altri 30 milioni.
Un passo avanti che non sembra sufficiente a raggiungere entro il 2020 quella capacità di 11,5 milioni di tonnellate che permetterebbe l'allineamento con la media europea.
La sindrome Nimby
Il tasso di crescita è frenato in parte dalla sindrome Nimby (Not in my back yard ovvero "Non nel mio cortile") delle comunità locali e in parte dai tempi di costruzione. «C'è il timore delle emissioni ma normativamente e tecnologicamente è privo di fondamento - aggiunge il curatore dello studio - per gli impianti dove viene rispettata la manutenzione».
Ben diverso l'iter dei progetti. Nel caso di Torino «sono passati quasi dieci anni dalla decisione mentre tre anni sono necessari per la realizzazione vera e propria» precisa Chiesa.
Lo scenario è complicato dall'esaurimento, nel 2015, dei «certificati verdi» che verranno sostituiti da un meccanismo «ad asta» su cui non si hanno ancora indicazioni precise.
Il ritorno dell'investimento, è previsto in una dozzina di anni con un tasso interno di rendimento (Irr) di poco inferiore al 10 per cento per quelli di oltre 400mila tonnellate. Ancora meglio potrebbe fare l'impianto di Napoli Est che potrebbe accedere agli incentivi Cip6 di cui fu data l'autorizzazione. In questo caso il ritorno dell'investimento dovrebbe essere in 8 anni, con un Irr superiore al 15%.
Attualmente in Italia vengono trattati 4,6 milioni di tonnellate l'anno con un costo medio, per chi conferisce i rifiuti agli impianti, di 100 euro la tonnellata contro i circa 88 della Germania. Per il conferimento in discarica gli operatori spendono dai 50 ai 70 euro la tonnellata.
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