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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2011 alle ore 08:18.

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«Se i risultati fossero confermati, sarebbero gli esperimenti più significativi eseguiti negli ultimi novant'anni. E contringerebbero a rivedere l'intera chimica moderna». Il commento è di Jeff Reimers, teorico chimico dell'Università di Sydney, di fronte all'ultimo lavoro del premio Nobel per la medicina Luc Montagnier, lo scopritore del virus Hiv. Il famoso virologo ha scoperto che la presenza di Dna, anche a bassissime dosi, genera variazioni strutturali nell'acqua. E lo ha descritto sul «Journal of Phisics: conference series», riproponendo di fatto il dibattutto tema "sulla memoria dell'acqua", tanto caro ai fautori dell'omeopatia. Apriti cielo! Com'era prevedibile è divampata la polemica tra chi sostiene che si tratta di una nuova frontiera della "low-dose medicine", che porterà alla creazione di farmaci senza effetti collaterali, e chi considera questo studio totalmente privo di fondamento, in quanto non rispetta uno dei cardini del metodo scientifico: la replicabilità degli esperimenti.
Ma, in concreto, cosa ha combinato Montagnier? Ha applicato i concetti della fisica quantistica alla biologia, con un esperimento relativamente semplice: due provette contenenti una un frammento di Dna e una acqua pura sono state messe all'interno di una bobina di rame e sottoposte a un debole campo magnetico. Dopo 16-18 ore, attraverso la Pcr – tecnica che amplificare la doppia elica attraverso enzimi – si trova che il frammento genetico è presente in entrambe le provette. Certo, l'idea è affascinante e probabilmente il fatto che a studiare questi fenomeni sia uno scienziato famoso ha il suo peso, però «nella sua carriera Montagnier ha anche proposto di curare il Parkinson di Giovanni Paolo II con l'estratto di papaia», ricorda Silvio Garattini, direttore dell'Istituto Mario Negri. E anche se azzeriamo il passato, con o senza Nobel la scienza non deve fare eccezioni, e questi risultati andrebbero ignorati fino a quando non vengono ripetuti da gruppi indipendenti. Ma soprattutto non si capisce perché conclusioni ancora tutte da dimostrare vengano già impiegate come prova di efficacia della terapia omeopatica».
Date le notevoli implicazioni e la relativa semplicità degli esperimenti non dovrebbe essere difficile ripetere l'esperimento da altri gruppi e scoprire se il teletrasporto del Dna è una pazzia o una rivoluzione che investe medicina, fisica e biologia.
Prima di arrivare a questo – se mai ci si arriverà – il lavoro diventa lo spunto per tornare sull'affidabilità delle pubblicazioni. Lo sa bene Stefano Ossicini, ordinario di Fisica sperimentale all'Università di Modena e Reggio Emilia, che da tempo si occupa di temi relativi al rapporto fra scienza e società, e sta per pubblicare un libro, «L'universo è fatto di storie non solo di atomi» edito da Neri Pozza, sugli errori, le frodi e le controversie che hanno agitato la scienza di questi ultimi cento anni. Partiamo dalla rivista. «Journal of phisics è per le pubblicazioni di lavori presentati nelle conferenze, in cui la politica del peer review è demandata espressamente agli organizzatori della conferenza, che possono quindi decidere i criteri relativi alla pubblicazione – spiega Ossicini –. E uno degli autori di questo lavoro (il fisico Giuseppe Vitiello, ndr) era fra gli organizzatori. Inoltre nella pubblicazione, per quanto attiene alla parte sperimentale, il lettore viene rimandato a due articoli pubblicati su altra rivista di cui lo stesso Montagnier è a capo dell'editorial board, un possibile conflitto di interessi». E sul lavoro in sè? «Da una parte è poco chiara l'analisi dei risultati e le figure scelte non spiegano molto, anche perchè sono prese dallo schermo di un pc. Dall'altra la parte teorica non sembra avere un legame diretto con l'esperimento. È una discussione che non presenta numeri o fatti. E gli stessi autori precisano che per un confronto quantitativo è necessario rimandare a un lavoro futuro». Quindi? «Ripeto una frase di Bacone, uno dei fondatori della scienza moderna: "la verità è figlia del tempo e non dell'autorità". E per evitare che gli schieramenti si fossilizzino sulle loro posizioni, bisognerebbe introdurre un altro criterio per i risultati scientifici, quello di robustezza, più adatto a un periodo in cui ai paradigmi fisici si vanno sostituendo quelli biologici. Come un essere vivente robusto é in grado di sopravvivere a condizioni difficili, un esperimento robusto sa vivere di vita propria, sopravvive alle teorie che l'hanno ispirato e continua a ripresentarsi con regolarità».
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