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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2011 alle ore 08:19.

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L'invenzione dell'agricoltura 10mila anni fa ha dato vita ai primi insediamenti umani. Con le coltivazioni che producevano più cibo del necessario, villaggi e città hanno sviluppato istituzioni e specializzazione del lavoro. I mercati, i templi e i palazzi hanno creato reti sociali organizzate attorno al commercio, al culto e al governo. Con il passare del tempo le relazioni tra questi network sono diventate più strutturate e complesse. È risultato così evidente che il rapporto sociale, e non l'efficienza, è la vera killer app per le città. Anche se gli edifici più significativi sono quelli su cui basiamo la conoscenza di diverse città, nella realtà la gran parte della loro struttura fisica è stata elaborata dalle persone comuni. L'evoluzione delle città si è democratizzata, decentrata e adattata, proprio come la vita sociale ed economica.
Questa crescita organica delle città classiche rappresenta diverse lezioni per le smart cities del futuro. In primo luogo, imponendo un disegno preordinato, gli amministratori che centralizzano la pianificazione spesso non sono in grado di costruire una città che soddisfi le esigenze dei cittadini, che ne rifletta la cultura e che crei quell'integrazione di attività che caratterizza i grandi luoghi. Allo stesso modo diversi progetti di "casa intelligente" sono falliti negli ultimi decenni proprio perché i designer hanno fatto previsioni sbagliate su come le persone avrebbero voluto integrare le tecnologie nella vita quotidiana.
In secondo luogo, le visioni top-down finiscono per ignorare l'enorme potenziale innovativo che proviene dalle persone. Abbiamo potuto tutti vedere come il decentramento ha trasformato il world wide web in un affascinante mezzo di interazione sociale. Fornendo soluzioni preconfezionate piuttosto che materiali grezzi con cui costruire il tessuto fisico e sociale delle "città intelligenti", i progetti top-down annullano le capacità di inventare nuove idee per migliorare le città. (…).
Infine, focalizzandosi unicamente sull'efficienza si finiscono per ignorare le finalità civiche come la coesione sociale, la qualità della vita, la democrazia e il primato della legge. Se invece si punta a migliorare la socialità mediante la tecnologia, oltre a perseguire queste esigenze, si svelano nuovi approcci all'efficienza. Per fare un esempio, l'app Dopplr permette agli utenti di calcolare e condividere l'impronta ecologica dei loro viaggi, inducendo contemporaneamente comportamenti più sostenibili.
Se puntiamo sulla socialità come fulcro per il progetto e sul coinvolgimento delle persone come fonte dell'innovazione, come possiamo modellare una "città più intelligente"? L'ideale è iniziare sfruttando il crescente potenziale degli apparecchi personali "smart" che noi tutti maneggiamo e utilizzando così le persone come sensori, al posto di basarsi solo sui sistemi appositi connessi con le infrastrutture. La funzione del traffico legata a Google Maps ne è un buon esempio. Invece di costruire un costoso network di sensori lungo le strade, Google sfrutta una rete di volontari anonimi di cui viene rivelata costantemente la posizione attraverso i loro apparecchi mobili, permettendo così di rilevare dove il traffico è scorrevole, dove è rallentato, dove è fermo. I guidatori vengono avvisati con diverse modalità, segnalando la velocità di percorrenza, i tempi stimati oppure indicando strade alternative. Anche se Google non è una piattaforma di base popolare, questo esempio dimostra come la condivisione peer-to-peer di dati possa avere effetti enormi nell'aiutare a gestire infrastrutture urbane. Questo scenario dimostra anche come le "smart cities" possano basarsi sui legami sociali ed essere più efficienti senza imporre l'ordine dall'alto: ognuno può scegliere la strada migliore basandosi sulle informazioni fornite dalle altre persone piuttosto che essere dirette dai pianificatori del traffico.
L'app di Google sfrutta una forte base di device esistenti a livello di consumatori. Ma l'approccio bottom-up può utilizzare in maniera rapida ed economica nuovi tipi di sensori che misurano e registrano dati su attività, movimenti e salute delle persone. Nel 2009 Parigi non aveva neanche una dozzina di stazioni di monitoraggio dell'ozono. Per espandere la raccolta di dati, il progetto Green Watch, sotto la supervisione del think tank internet Fing, ha distribuito 200 device smart ai parigini. I quali registrano i livelli di ozono e di rumore mentre le persone svolgono la loro vita quotidiana; i dati vengono poi condivisi pubblicamente attraverso il motore Citypulse. Nella prima fase sono state rilevate oltre 130mila misurazioni in un singolo distretto. L'esperimento ha dimostrato come un network di sensori basato sulle persone può essere impiegato in breve tempo, a costi molto più bassi rispetto a sistemi arcaici di stazioni fisse. Il progetto dimostra anche come i cittadini possono essere coinvolti nella regolamentazione e misurazione in fatto di inquinamento. Alla fine sensori per network fatti di persone saranno infilati negli oggetti quotidiani: cellulari, automobili e vestiti.
Carlo Ratti è direttore
del SENSEable City Laboratory
del Massachusetts Institute of Technology
Anthony Townsend è research director dell'Institute for the Future
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I video che illustrano i progetti del SENSEable City Laboratory del Mit. www.ilsole24ore.com/nova

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