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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2011 alle ore 14:33.

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Usare facebook durante l'orario di lavoro può comportare sanzioni disciplinari sia nel settore pubblico sia privato. Si può arrivare fino al licenziamento se la connessione è ripetuta e implica un calo nel rendimento e nella prestazione lavorativa complessiva.

Legalmente non esiste un limite quantitativo che fa scattare la perdita del posto. Si può andare da da licenziamenti leciti irrogati per accessi ripetuti di oltre due ore al giorno, fino a collegamenti di mezz'ora al giorno, se monitorati per un lungo periodo.

L'utilizzo dei social network è più insidioso. Le sanzioni, sul piano teorico, possono scattare anche se il profilo è inattivo, ma tenuto costantemente aperto sul pc aziendale.

Il sistema di notifiche e l'avviso dei messaggi in arrivo possono distrarle ripetutamente il lavoratore, dando luogo a condotte sanzionabili. Per i dipendenti pubblici il rischio è maggiore.

A Forlì quest'anno cinque dipendenti pubblici sono stati indagati per peculato per aver usato facebook durante l'orario di lavoro. Non importa che il lavoratore abbia con la sua condotta comportato un danno patrimoniale all'ente pubblico di appartenenza perché oggetto di tutela è il buon andamento della pubblica amministrazione, che può essere compromesso anche da un uso privato degli strumenti informatici a disposizione (Tra le tante, v. Cassazione penale sez. VI, 15 aprile 2008, n. 20326).

Un dipendente pubblico, inoltre, può essere tenuto anche al risarcimento del danno per mancato svolgimento dell'attività lavorativa durante l'orario di lavoro. E' successo a dirigenti costretti a versare all'erario migliaia di euro per le connessioni personali.

Il raggiungimento delle obbligazioni di risultato non libera i dipendenti pubblici dall'obbligo giuridico di utilizzare il tempo residuo per fini istituzionali, soprattutto se ricoprono una posizione di vertice.

Ma per i lavoratori sono in arrivo anche nuovi rischi. Nel mirino delle aziende finiscono sempre più i commenti pubblici scritti sulle bacheche dei social network. Segretarie che pubblicano le proprie di dimissioni su facebook, definendole doverose, dirigenti che mettono sulla piazza virtuale gli attriti aziendali, stagisti che pubblicano foto delle feste di ufficio, tutti a rischio contestazione e non solo. Sia nel settore privato sia nel pubblico si può arrivare anche a una condanna per diffamazione aggravata. Il diritto all'immagine aziendale viaggia su internet e sempre più spesso diventa un patrimonio da tutelare, anche nelle sedi giudiziarie.

* L'autrice dell'articolo è un avvocato, esperta in diritto informatico e autrice del libro «Come non perdere il lavoro, la faccia e l'amore al tempo di facebook»

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