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Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2011 alle ore 08:17.

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di Antonio Larizza
Nell'Italia delle manovre economiche in atto, c'è una manovra digitale in potenza capace di liberare risorse per 43 miliardi di euro all'anno. È questa la cifra che lo Stato potrebbe risparmiare se portasse a termine un convinto programma di digitalizzazione della Pubblica amministrazione centrale e locale.
Il dato, stimato con un approccio prudenziale, emerge da uno studio condotto da un gruppo di ricercatori degli Osservatori del Politecnico di Milano per Nòva. La ricerca è presentata in queste pagine con l'obiettivo di stimolare la riflessione e rilanciare il dibattito economico su questi temi, provando a quantificare un valore troppo spesso considerato intangibile: il valore dell'economia della conoscenza in un paese industrializzato.
Per quantificare i benefici che deriverebbero dalla digitalizzazione della Pa i ricercatori hanno individuato tre tipologie di risparmi: quelli ottenibili sugli acquisti della Pa, quelli generati da un aumento della produttività e quelli, indotti, che una pubblica amministrazione più snella ed efficiente garantirebbe alle imprese. Il risultato: 43 miliardi di euro risparmiati ogni anno. Una cifra pari a dieci volte i tagli agli enti locali varati dal Governo per il 2012 (4,2 miliardi). E superiore anche alle risorse che in queste ore si stima di recuperare, per esempio, dalla cessione di immobili pubblici (25-30 miliardi). Senza contare che in questo caso non si tratta di entrate una tantum, ma di risparmi strutturali sulla spesa corrente. Ecco perché è doveroso seguire il ragionamento condotto dai ricercatori del Politecnico.
Iniziamo dall'analisi dei benefici interni. Ogni anno la pubblica amministrazione spende 750 miliardi. Una somma pari quasi alla metà del Pil. La spesa per acquisti di beni e servizi è pari a circa 120 miliardi. Ipotizzando che il 30% di questa somma sia gestita con tecniche di eProcurement (acquisizione di beni e servizi online) e ipotizzando un risparmio medio sugli acquisti generato da queste tecniche pari al 10%, ecco quantificati i primi 4 miliardi di risparmio. «Si tratta di una stima prudente – spiega Alessandro Perego, responsabile scientifico Osservatori ICT&Management del Politecnico di Milano – dedotta da una serie di esperienze, sia pubbliche che private, che abbiamo analizzato». Esperienze che parlano chiaro. All'Enel, per esempio, la quota di acquisti di beni e servizi gestiti con tecniche di eProcurement (esclusi i combustibili) supera il 70% del totale. La Pa dell'Emilia Romagna gestisce con tecniche di eProcurement il 10% degli acquisti, con l'obiettivo di raggiungere il 30%, così come avviene per la Pa del Regno Unito. Lo stesso dicono i dati disponibili sui risparmi medi ottenibili: nelle imprese private sono pari al 17%; nel pubblico vanno dal 12% (Comune di Livorno) al 15% (Pa del Regno Unito). Già oggi, il risparmio medio ottenibile sul portale per gli acquisti in Rete della Pa con il sistema Rdo-Mepa (richiesta d'ordine sul mercato elettronico della Pa) oscilla tra il 10 e il 50%, a seconda della categoria merceologica. «È quindi ragionevole e probabilmente fin troppo prudente – continua Perego – ipotizzare, anche per lo Stato e gli enti locali, che a regime l'eProcurement possa gestire il 30% degli acquisti, con un risparmio medio del 10%».
Il secondo livello di risparmi prende in considerazione i benefici legati all'aumento di produttività dei processi della Pa, tramite azioni mirate (digitalizzazione dei pagamenti, dematerializzazione, uso di posta elettronica certificata, sanità digitale, pagamenti multicanale, fascicoli penali elettronici, cloud computing, ecc). «In questo caso – spiega Perego – dal momento che l'85-90% dei costi di processo della Pa sono relativi al personale, la stima dei benefici da digitalizzazione può essere ristretta ai vantaggi in termini di produttività del personale». Il punto di partenza del ragionamento è anche in questo caso rappresentato da esperienze in aziende private o miste (pubblico-privato), dove, mediamente, i progetti di digitalizzazione hanno aumentato la produttività del 20 per cento. Per la Pa i ricercatori hanno stimato un risparmio medio del 10% sulla spesa totale. «Questo è un valore mediato tra lo 0% di risparmio per le componenti della Pa "poco" aggredibili (scuola, esercito, ecc.) e il 20% di risparmi che invece si potrebbero ottenere sulla quota di dipendenti di ministeri, regioni ed enti locali». Data la spesa totale (150 miliardi), questa voce potrebbe quindi liberare 15 miliardi di risorse. E renderebbe praticabile il blocco del turnover nella Pa: blocco che – in assenza di un miglioramento dell'efficienza dei processi capace di aumentare la produttività a parità di forza lavoro – sarebbe difficile da motivare, se non in nome di un'ormai cronica carenza di risorse.
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Il terzo capitolo riguarda i benefici esterni: ovvero i risparmi indotti per il sistema delle imprese e per i cittadini. I ricercatori hanno preso in considerazione due tipi di costi di interazione tra Pa e imprese: i costi della burocrazia e gli oneri derivati dal ritardo dei pagamenti da parte della Pa.
Secondo una stima del Censis, il costo della burocrazia per le imprese italiane è pari a 70 miliardi di euro. Lo studio ipotizza che un terzo di questi costi siano fisiologici, ma che i due terzi rimanenti si possano eliminare con due azioni: la semplificazione normativa e la digitalizzazione dei processi, che da sola potrebbe eliminare un terzo dei costi. Ovvero 23 miliardi di euro, che le imprese potrebbero risparmiare, ogni anno. L'altra voce considerata riguarda i ritardi di pagamento, che si traducono in costo del denaro. Oggi la Pa ha un debito verso le imprese pari a 70 miliardi di euro. Il tempo medio di pagamento è di 130 giorni (contro i 30 giorni sanciti da una direttiva europea che presto dovremo recepire). Ipotizzando un costo del denaro dell'8%, nei 100 giorni medi di ritardo le imprese pagano, in termini di interessi, 1,5 miliardi di euro all'anno. Lo studio stima che processi di acquisto e gestione d'ordine digitalizzati potrebbero ridurre i ritardi di almeno il 50%, ovvero la quota imputabile a errori o inefficienze nel ciclo di ordine, fatturazione e pagamento. Per le imprese, vorrebbe dire ridurre gli oneri da interessi per 750 milioni di euro all'anno.

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