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Questo articolo è stato pubblicato il 04 ottobre 2011 alle ore 11:50.

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(AP)(AP)

Averlo saputo che sarebbe diventato lui l'erede di Steve Jobs, gli si sarebbero potute chiedere molte più cose. Anche se non avrebbe risposto lo stesso. Infatti, Tim Cook non è solo un sorprendente outsider arrivato alla guida dell'azienda americana più capitalizzata al mondo, ma soprattutto uno che non si lascia andare a confidenze e, se può, non si farebbe neanche vedere.

Cosa che gli è riuscita molto bene per anni. Infatti, le poche volte negli anni che l'attuale Ceo di Apple è stato raggiungibile a margine di un evento organizzato dall'azienda della Mela morsicata, fosse questo a San Francisco, a Cupertino o a Parigi (dove si teneva sino a pochi anni fa l'edizione europea del Macworld) c'è stata solo l'occasione di avvicinarsi, salutarlo e scambiare due frasi di circostanza.

Nessun commento, nessuna apertura, solo correttezza, cortesia e tanti no-comment. Questo non basta certo per capire che tipo di manager sia Tim Cook. Per riuscirci, bisogna guardare alla sua vita e alle cariche accumulate nel corso degli anni: Cook nasce da una famiglia umile del sud povero degli Usa, l'Alabama. Figlio di una casalinga e di un operaio dei cantieri navali di Tillmans Corner, si laurea in ingegneria nel 1982, a 22 anni, e sei anni dopo ottiene il suo Mba in business e management. La sua carriera prima di Apple è dedicata a Ibm (ben 12 anni) e, per un breve periodo, a Compaq, per i quali svolge ruoli operativi: la gestione strategica dei magazzini, il disegno della supply chain, la gestione dei rapporti con i fornitori e i partner. Qui impara a gestire anche un'azienda nelle sue fasi più operative e proprio per questo Steve Jobs lo vuole personalmente: siamo alla fine degli anni Novanta e l'obiettivo è salvare un gigante moribondo.

Apple, sconfitta da Microsoft e dalla concorrenza del Pc, era all'epoca una grande azienda sull'orlo della chiusura, con bilanci in rosso, deficit operativi, debiti e soprattutto con una costante emorragia di denaro che deriva dalle attività produttive in California e dall'enorme magazzino in cui erano fermi 3 miliardi di dollari di apparecchiature.

Cook in due anni, assieme al direttore finanziario dell'azienda, riesce a ribaltare la situazione: le fabbriche vengono chiuse e spostate in Asia, dove Cook si costruisce una ricca rete di rapporti personali con i grandi terzisti del mercato, a partire dalla taiwanese Foxconn e dal suo discusso boss, Terry Gou. Riesce a fare il tutto senza bloccare la produzione, e contemporaneamente ricostruisce la rete dei fornitori e il sistema di distribuzione, riuscendo a ridurre il valore dei beni immobilizzati in magazzino a poche decine di milioni di dollari e a far partire una delle rivoluzioni strategiche per Apple: la produzione just in time, che si sposa anche con uno dei più grandi siti di ecommerce messo in piedi negli Usa alla fine degli anni Novanta, assieme a quello di Dell.

È Tim Cook che insiste per usare come "motore" informatico il software di pianificazione delle risorse aziendali della tedesca Sap (che tutt'ora fa da base software interna a tutte le attività di Apple, compreso l'iTunes store) anziché quello della Oracle dell'amico personale e grande alleato di Steve Jobs, Larry Ellison.

Cook rimane dietro le quinte, lavora duramente nel suo ruolo decennale di Chief operation officer, e infatti della sua vita personale non si sa niente, solo che è appassionato di fitness e che è un lavoratore indefesso, famoso per non fermarsi neanche nei fine settimana e per organizzare meeting telefonici prestissimo la mattina (anche alle 4). Anche lui, come Steve Jobs e Bill Gates, ha rivelato parte della sua personalità durante un discorso inaguruale per le lauree degli stutenti universitari. È accaduto nella primavera del 2010 all'università di Auburn, in Alabama, la sua alma mater. Il suo è un discorso di responsabilità, di sacrifici fatti dai suoi genitori e del fatto che Apple e Steve Jobs hanno avuto fiducia in lui dandogli la possibilità di lavorare duramente per ottenere grandi risultati, definendo la sua vita "il più improbabile dei viaggi".

Il discorso di Tim Cook agli allievi della Auburn University primavera 2010

Nel 2004 e poi di nuovo nel 2008 e nel 2009 Tim Cook viene scelto dal consiglio di amministrazione per sostituire Steve Jobs durante i suoi tre congedi per motivi di salute, fino alla lettera dello scorso agosto che annuncia le definitive dimissioni di Jobs e il suo invito al consiglio di amministrazione a seguire il piano concordato e dare l'azienda in mano a Tim Cook. Il consiglio è d'accordo, Jobs si ritira a finire assieme al giornalista Walter Isacsson la sua biografia che uscirà il 21 novembre anche in Italia e l'azienda passa a Cook.

In pochi giorni la transizione è fatta e Tim Cook diventa nuovo capo supremo il dirigente più silenzioso e più serio nel vertice dell'azienda in cui pesano da tempo le forti personalità soprattutto di Phil Schiller (estroverso capo mondiale del marketing e finora front-man sul palco quando Steve Jobs non ha potuto tenere i suoi famosi keynote) e di Scott Forstall (brillante giovane pupillo di Jobs, nonché capo delle operazioni relative al futuro dell'azienda, cioè iPhone e iPad). Cook vede così ripagato il suo impegno costante e indefesso, la sua capacità di lavorare a una velocità che alcuni suoi ex colleghi giudicano "quasi sovrumana".

Con la stampa Cook non ama avere incontri informali e chiacchierare: anche quando l'ho approcciato a Parigi nel 2003 e ancora a San Francisco in altre due occasioni, sempre a margine di eventi organizzati dalla Apple con Steve Jobs come stella, lui ha mantenuto sempre un cortese distacco, scoraggiando con gentilezza ma fermezza qualsiasi domanda. Fedele al capo, se c'è Steve Jobs ha sempre lasciato che fosse lui a parlare con la stampa e a stare nel centro del palcoscenico. Una fedeltà, unita alle indubbie capacità, che adesso ha pagato Cook più che per chiunque altro dentro Apple.

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