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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2011 alle ore 08:18.

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L'attesa è stata messianica. Diaspora, l'anti-Facebook finalmente ha aperto al pubblico: si parte con diecimila nuovi utenti al mese e si va avanti così. Il social network paradiso dei programmatori, nato per essere open source e protettore della privacy parte con molte incognite e una certezza: non darà alcun fastidio a Facebook. Anzi, non c'entra proprio nulla con la "casa" di Zuckerberg. Dopo qualche giorno passato su Diaspora si ha davvero l'impressione di un ambiente pulito, attento più ai contenuti che alle relazioni, più interessi che amici. Ed è proprio questa la prima differenza di rilievo. Per discutere di un tema o condividere un link non è necessario essere amico di qualcuno. Possiamo seguire certi argomenti indipendentemente dalla nostra relazione con chi li scrive. Con una logica alla Twitter, ossia attraverso gli hashtag o più volgarmente i cancelletti seguiti dal tema. La seconda novità, si fa per dire, è la scelta di classificare i propri contatti – che peraltro possono essere importati con facilità da Facebook, Twitter e Tumblr – in base agli ambiti della sua vita. Per esempio, amici, famiglia, lavoro eccetera. Scelta questa unilaterale e non visibile agli altri. Proprio per questo non dissimile dalle cerchie (circles) lanciate da Google+.
Al netto di questa struttura di gestione degli stream, la conversazione e il corollario multimediale si dipanano come in qualsiasi altro social network alla Facebook. Apparentemente qualcuno potrebbe leggerci una contaminazione del meglio dei media sociali esistenti. Ma in realtà non è affatto così. Come hanno più volte spiegato i quattro fondatori di Diaspora, l'intento non è mai stato quello di creare un Facebook o peggio un anti-Facebook, bensì una «rete sociale o una rete di reti». Su Diaspora gli utenti posseggono i propri dati. Sono liberi di prendere un nome di fantasia e di esprimere liberamente le proprie opinioni. Hanno in sostanza il pieno e continuo controllo dei propri dati. I contenuti si possono portare su un server di proprietà dell'utente. Scaricare e caricare a ogni sessione. Inoltre, la piattaforma può migliorare grazie al contributo della rete in una logica come già detto open source.
Di per sè queste misure, anzi queste scelte non garantiscono il successo o la sostenibilità dell'iniziativa. I fondatori non più tardi di una settimana fa hanno chiesto una donazione volontaria di 25 dollari ai sostenitori di Diaspora. E probabilmente torneranno a chiedere l'aiuto degli utenti. Ma il punto non è questo. Per Diaspora sarà cruciale il processo di apprendimento. Ma più di tutto la vocazione che gli utenti daranno a questo strumento che, per ora, davvero rappresenta una alternativa. (l.tre)
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