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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2011 alle ore 12:05.

Una lettera inviata a Mario Monti, appena nominato senatore a vita, per accendere i riflettori su un altro "spread" che pesa da anni: "Lo "spread digitale" dell'Italia nei confronti dei principali paesi del mondo ha ormai raggiunto livelli insostenibili anche per la tenuta economica nazionale", scrive Stefano Rodotà, ex presidente dell'Authority per la privacy.

L'occasione è l'Internet governance forum italiano in corso a Trento, una sorta di laboratorio aperto per capire gli sviluppi di una rete globale che connette il 53% degli italiani, secondo le rilevazioni del Censis.
Il documento sottolinea "l'incapacità di affrontare i problemi legati alla diffusione della banda larga", "indegna di un paese che voglia restare in Europa". E sottolinea i risultati finora raggiunti: "l'economia digitale rappresenta già il 2% del Pil dell'economia nazionale e, negli ultimi 15 anni, ha creato oltre 700.000 posti di lavoro". La richiesta dell'appello che parte dall'Internet governance forum è rivolta a "un nuovo governo" che "si impegni concretamente, anche attraverso la nomina di un ministro se necessario, per la piena implementazione di un'agenda digitale in conformità con quanto stabilito dall'Europa".
Rodotà aveva proposto di aggiungere il diritto di accesso a internet all'articolo 21 della Costituzione, un "diritto fondamentale della persona", evidenzia il testo. La lettera contro lo "spread digitale" ricorda altri temi del dibattito da affrontare: la "conoscenza come bene comune globale", la "garanzia della neutralità della rete in relazione ai flussi di dati", la "definizione di uno statuto del lavoro in rete". La strada da fare per recuperare lo svantaggio non è breve. Secondo i dati della Commissione europea in Italia le abitazioni connesse a internet sono il 48,9%, al di sotto della media Ue del 60,8%.

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