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Questo articolo è stato pubblicato il 09 dicembre 2011 alle ore 19:02.

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Che cosa dovrebbero fare i contadini che coltivano mais in Sud Africa o soia in Cina per prepararsi al cambiamento climatico che colpirà le loro terre? Imitare quello che stanno facendo oggi i loro colleghi sudamericani, perché tra vent'anni si troveranno in condizioni del tutto simili. Prendere esempio dagli altri è la nuova strategia per fronteggiare i problemi creati dal global warming ed evitare uno dei molti rischi che il pianeta, o meglio la razza umana che lo abita, sta correndo: trovarsi a corto di risorse alimentari.

Se il cambiamento non lo puoi fermare (non da solo, almeno) allora tanto vale che faccia di tutto per provare ad adattarti al meglio, insomma, seguendo un po' quella che è stata sempre la grande risorsa della nostra specie. Il sistema si può applicare, potenzialmente, ad ogni tipo di produzione agricola: per continuare ad avere gli stessi raccolti di oggi basta trovare il posto in cui il clima di oggi assomiglia a quello che un agricoltore avrà nella sua regione in futuro. Il Consultative Group on International Agricultural Research, un'organizzazione internazionale per la cooperazione, ha già prodotto il primo rapporto per insegnare ai contadini di tutto il mondo che cosa fare ed è ottimista che molto ancora si possa fare per prepararsi meglio grazie al programma battezzato Climate Change, Agriculture and Food Security.

Lo sforzo è duplice, spiegano gli uomini del Cgiar: prima bisogna identificare le analogie planetarie, le situazioni climatiche di domani che saranno simili a quelle di oggi in altri posti, e poi bisogna mettere in contatto diretto le persone e convincerle a scambiarsi le conoscenze. «La situazione che ad alcuni apparirà del tutto nuova non lo sarà davvero a livello globale, perché si sarà già verificata altrove», spiega Julian Ramirez, uno degli scienziati che collaborano al progetto, «creando questi contatti si potranno offrire soluzioni pratiche per mettere le persone in condizioni di poter affrontare le novità, adattando la propria azienda agricola ai cambiamenti di temperatura e di precipitazioni». Per esempio, gli agricoltori del Sud Africa andranno incontro a un aumento della temperatura di un grado almeno che potrebbe ridurre i raccolti di mais del 20%, secondo uno studio condotto dalla Stanford University.

Ma in Argentina il mais viene coltivato già a temperature medie più alte anche di tre gradi di quelle sudafricane. Lo stesso succede per le coltivazioni di soia negli Stati Uniti, realizzate in condizioni che somigliano a quelle che la regione cinese attorno a Shanghai potrebbe sperimentare nel 2030, mentre la Germania del Nord e l'Olanda dovrebbero andare incontro a situazioni climatiche più simili a quelle della California, dimenticando i rigidi inverni. «Quello che stiamo cercando di fare è analogo a ciò che gli agricoltori hanno sempre fatto nei secoli, tentando di adattarsi al mutare delle condizioni», racconta Andy Jarvis, uno dei capi progetto.

Peccato però che questa volta i contadini abbiano molto meno tempo che nel passato per fronteggiare le novità, vista la velocità con cui l'innalzamento della temperatura, il cambiamento delle precipitazioni, la frequenza degli episodi di clima estremo si verificano. «In qualche modo stiamo trasformando il mondo in un grande laboratorio in cui sperimentare l'adattamento al cambiamento climatico», ammette Jarvis. Funzionerà? Intanto, gli scienziati devono finire di mettere a punto una mappa che colleghi i climi di oggi e quelli di domani, regione per regione. Poi dal 2010 cominceranno le prime sperimentazioni di scambi di conoscenze direttamente tra agricoltori. Perché un conto è far spiegare dai vignaioli toscani come curare la vite a piccoli proprietari terrieri britannici, un altro far dialogare il contadino dell'Africa Orientale con quello dell'Asia meridionale.

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