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Questo articolo è stato pubblicato il 25 marzo 2012 alle ore 08:20.

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di Luca Tremolada
Luigi Anzivino è simpatico quanto il suo nome. Vive a San Francisco, di formazione è neuroscienziato ma lavora come educatore all'Exploratorium, museo della scienza, arte, e percezione umana, e più specificamente in uno spazio chiamato Tinkering Studio, dedicato a offrire esperienze che passano per la manipolazione di materiali. «Dalle mani passa una conoscenza che resta - racconta il giovane scienziato che si diletta anche di magia -. Usiamo materiali comuni come tubi di rame, pezzi di legno, elastici, imbuti. E li combiniamo anche con l'elettronica e il digitale». Anzivino racconta che quello dei makers è un movimento nato a San Jose nella California che si è imposto in tutta l'America (anche in Italia se ne parlato recentemente con World Wide Rome). Dalla Maker Faire, la fiera del Do It Yourself (Diy) organizzata dalla rivista «Make» con tanto di banchetti zeppi di oggetti meccanici stravaganti fino a Scratch, l'ambiente di programmazione con il quale centinaia di migliaia di bambini imparano a creare animazioni e giochi un neanche tanto sottile filo rosso tiene insieme esperienze e pratiche che hanno in comune il concetto del fare. Dalla meccanica al digitale. «Dentro al Techshop di San Francisco (sono cinque negli Stati Uniti) sembra di essere in una officina meccanica. Torni, saldatrici, martelli, macchine per tagliare il ferro. Chi vuole può andare là e usare questi strumenti per costruire cose», racconta Anzivino. Si paga un abbonamento mensile per poter accedere a questa palestra tecnoartigianale dove si trovano anche utensili elettronici come i laser cutting (macchine a laser per incidere i materiali), stampanti in 3D, schede open hardware come Arduino, Beagleboard basata su processore Arm, Raspberry Pi e software aperti per realizzare prototipi come Autodesk 123D Make. Esiste anche un mercato online per i prodotti che escono da questi negozi o dalle camerette di questi giovanissimi Etabeta. Etsy (www.etsy.com) più che un bazar dell'elettronica pare un rigattiere vintage tipo Art Attack. Apparentemente c'è tutto e il contrario di tutto, il confine tra materia e digitale scompare, gli oggetti (a volte buffi) che nascono da queste officine nascono a volte sugli schermi dei computer, con software open source per la prototipizzazione, a volte dalle mani di artigiani che sapientemente nascondono al loro interno schede e tecnologie per connettersi a internet e dialogare con i servizi presenti in rete.
A inizio mese è nata il Maker Startup Weekend: per 54 ore manager, designer, programmatori e inventori entusiasti si sono parlati per formare team, costruire prodotti o inventarsi servizi. Il passaggio dall'hobby alla startup sembra essere nella logica delle cose. Non tanto perché esistono hardware open source e strumenti per progettare a basso costo, ma perché partire dal digitale e dalla collaborazione tra persone per inventare nuovi processi produttivi e modelli di business sembra essere lo spirito di questi tempi. Soprattutto qui in Italia. Tanto che l'idea dell'incubatore è ormai la pratica delle Officine Arduino. Nate a febbraio a Torino negli spazi del co-working Toolbox al suo interno ospitano il Fablab Torino un laboratorio che ricalca il modello dei TechShop californiani. «Portiamo avanti un progetto di didattica rivolta agli studenti di design - spiega Davide Gomba, ceo di Officine Arduino - ma la vera novità è che con il Tinker kit (www.tinkerkit.com/en/) siamo riusciti a rendere ancora più semplice l'uso della scheda Arduino». La scheda elettronica, progettata da Massimo Banzi, nasce come progetto open source con la missione di semplificare l'integrazione con hardware elettronico e software. In sostanza rende più semplice programmare gli oggetti anche ai non addetti ai lavori. Lampade, robot, strumenti musicali, installazioni artistiche realizzati bypassando la programmazione ed elettronica. La parola «officina» è suggestiva perché evoca la tradizione più epica dell'industria italiana. Gomba però vede un orizzonte di sviluppo legato all'educazione. «Arduino Leonardo (una versione low cost, 15 euro) e a breve Arduino 2.0, più potente e versatile renderanno più invasivo l'ingresso di questi strumenti nella progettazione amatoriale e didattica». L'incubatore è un'officina che guarda a un nuovo modo di intendere il rapporto tra questo tipo di startup e l'azienda manifatturiera italiana. Un modello che vede le nuove iniziative proporsi in chiave di ricerca e sviluppo a chi già opera sul territorio. O forse qualche cosa di più. Un incubatore di cultura scientifica e tecnologica per le nuove generazioni. «Impariamo con le mani, costruendo nella nostra mente mondi che funzionano». Anzivino ci crede. Anzi, questa educazione attiva la sta già praticando.
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