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Questo articolo è stato pubblicato il 29 aprile 2012 alle ore 08:20.

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di Luca Tremolada
Ogni adulto legge in media 250-300 parole al minuto. Un articolo mediamente ne contiene 1.200. Fanno quattro minuti a "pezzo". Quanto ci metterebbe a leggere i 2 milioni di articoli che ogni giorno commentano e raccontano il mercato finanziario? Anni: poco, per farsi una cultura, troppo per poter agire tempestivamente sul mercato. Per chi gioca in Borsa più sai e più è facile ottenere quel vantaggio informativo capace di anticipare l'andamento di titolo. «E ogni volta che c'è la possibilità di prevedere il futuro ci sono soldi da fare», ha dichiarato al Los Angeles Times Richard Peterson. In questo momento Peterson è tra i più ascoltati in Silicon Valley. Ingegnere elettronico, psichiatra, esperto di mercati finanziari, il suo mestiere (e la sua scommessa) è guardare dentro ai big data dei social network, analizzare tweet, chat, post e news per ottenere predizioni. Per otto anni ha lavorato a un sistema complesso per rilevare lo stato d'animo di chi discute in rete e tradurlo in un indicatore economico. «Nei social network, nelle chat finanziarie o negli articoli dei quotidiani economici ci sono dati che rivelano il comportamento di chi investe – racconta a Nova24 –. La crisi finanziaria e la volatilità delle Borse hanno dimostrato che l'irrazionalità agisce sui mercati in modo sistemico. Le reazioni emotive che suscitano in noi notizie, cambiamenti di prezzi delle azione o conversazioni con altre persone abitualmente condizionano le nostre scelte di investimento. Noi possiamo dimostrare sulla base dei dati che il rischio che ci assumiamo quando operiamo sul mercato è condizionato dai nostri stati d'animo. Questo condizionamento non solo si può rilevare ma ci permette di prevedere cosa succederà sui mercati». MarketPsych (l'azienda fondata da Peterson), come anche AlphaGenius e altre emergenti nel campo dei big data, sono convinte di poter collegare l'umore dei social network alle performance dei prezzi dei titoli azionari.
In letteratura cominciano a uscire i primi studi che interpretano l'umore dei mercati attraverso i social: Johan Bollen, un professore dell'Università dell' Indiana, ha analizzato 10 milioni di tweet prodotti da 2,7 milioni di individui e ha trovato una correlazione tra il mood della rete e la direzione dell'indice Dow Jones. Includendo lo stato d'animo della calma, si legge nello studio, i tweet erano in grado di indicare i valori di chiusura dell'indice DJIA tre giorni dopo la rilevazione con una accuratezza dell'87,6 per cento. Un altro studio di Arthur O'Connor della Pace University ha individuato una correlazione tra la popolarità di una azienda su Facebook e l'andamento del rispettivo titolo. Più fan sulla Facebook page del marchio indicherebbero in Borsa performance superiori a quella del mercato.
Più che il ruolo dell'emozione nelle scelte a essere in discussione è la possibilità di estrarre nuova conoscenza dai social network e tradurla, nella fattispecie, in consigli per acquisti o in nuovi indici per Hedge fund e banche d'affari. I grafici di MarketPsych mostrano correlazioni per esempio tra la paura registrata su Twitter durante l'influenza aviaria e la performance della compagnia aerea American Airlines (AMR). O tra i picchi di rabbia degli analisti verso Goldman Sachs dopo la lettera di denuncia di un ex manager pubblicata sul New York Times e la volatilità della Borsa.
A Wall Street però non sono pochi a essere scettici su questi strumenti, sopratutto nel momento in cui un indice basato sulle chat finanziarie dovessere diventare mainstream, manipolabile e quindi capace a sua volta di influenzare il mercato. Inoltre, a monte della ricerca di algoritmi o strumenti di analisi per prevedere sistemi complessi come quello finanzario c'è il nodo dell'accesso a big data. Nello specifico: quali dati vengono analizzati e con quali strumenti? Il sistema di MarketPsych analizza 2 milioni di news, le chat finanziarie e Twitter. Mancano all'appello per ora LinkedIn, Facebook, Google+. Non pochi dati, quindi. L'accesso alle informazioni di mondi chiusi o semichiusi come quello dei social network non è gratis e né va dato per scontato. Settimana scorsa l'accusa "velata" a Apple e Facebook lanciata da Sergey Brin, fondatore di Google, di aver reso invisibili i loro mondi ai motori di ricerca rendendo così internet un luogo meno adatto al business (e alla ricerca) non va presa sottogamba da chi intende trarre profitto da big data. Come anche la sempre più stringente regolamentazione sulla privacy.
Quanto allo strumento, questi sistemi apparentemente usano tecniche automatiche ma anche una parte di codifica umana (anche se principalmente si tratta di regole automatizzate, dizionari ontologici, ecc). Cosa succederebbe se l'algoritmo al posto di analizzare le emozioni di umani analizzasse quelle di algoritmi, account-robot di Twitter (socialbot) o utenti di Facebook falsi?
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«L'innovazione nel settore dell'analisi dei big data di tipo economico-finaziario – commenta Stefano Iacus, statistico dell'università degli Studi di Milano e curatore del progetto Voices from the Blogs – passerebbe attraverso un vero modello di inferenza causale più che l'attuale semplice studio delle correlazioni. Questo avviene già in altri campi, basti pensare alla biologia e alle tecniche usate nel campo della genomica funzionale». Apparentemente manca quindi la formulazione di una teoria che tenga insieme il tutto: neuromarketing e studio delle reti complesse, gli studi di Albert-László Barabási con l'analisi degli ecosistemi. Mentre abbondano sistemi e algoritmi predittivi accessibile ma rudimentali. Google Correlate è un servizio di Google Research, che permette di analizzare correlazioni tra una parola chiave ed altre ad essa correlate per volumi di ricerca. In rete si trovano anche altri strumenti che geolocalizzano dati, li rilevano nel tempo e nello spazio. Il pericolo è l'uso inappropriato dell' inferenza statistica. «Statistici, economisti e traders dovrebbero forse scambiarsi più idee tra loro – osserva Iacus –. La grande mole di dati è tutta lì, bisogna solo capire cosa ci dicono». E magari anche cosa chiedergli.

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