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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2012 alle ore 08:21.

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«Diciamo che l'idea del libro "Start-up of You", quella insomma che basta la mentalità da startupper per fare carriera è forse un po' troppo americana». Lo sostiene Arianna Bassoli, proprio lei che questa idea in qualche modo l'ha davvero praticata. Trentaquattro anni, una laurea (rischiosissima ndr) in Scienza della Comunicazione, tre anni come ricercatrice a Dublino presso il Media Lab Europe, poi London School of Economics e da qui la prima startup frestyl (https://frestyl.com/) insieme a Johanna Brewer. Quella di Arianna Bassoli è stata una vita in movimento: l'Irlanda, Berlino e poi gli States. Poi il ritorno in Italia. A febbraio vince un concorso al Miur ed entra nel nuovo think tank tecnologico che ha voluto il ministro Francesco Profumo per seguire l'Agenda Digitale.
«Ho letto del concorso su Facebook - racconta a Nòva24 -. cercavano una esperta di interfacce con dottorato. Mi sono detta: vuoi vedere che questa volta riesco a sfruttare quel pezzo di carta? E così è stato». Insieme a lei al Miur altri dodici under 40, tutti a tempo determinato con un ottimo curriculum (compensi e contratti su http://tinyurl.com/d3j633n). Lei si occupa di smartcities ma segue anche i provvedimenti istituzionali in ambito startup. «L'argomento mi sta a cuore – sorride –. Resto proiettata in quel mondo, però non mi sono lasciata sfuggire l'occasione di poter contibuire all'interno di una istituzione politica come il Miur».
«L'impatto, non nego, all'inizio è stato duro – commenta –. Almeno per me abituata a lavorare all'estero, in piccoli gruppi o da sola. Burocrazia e gerarchia si percepiscono ma siamo fortunati, possiamo usare il nostro computer, connetterci, intorno a noi c'è un clima davvero positivo».
C'è però ancora molto da fare, lascia intendere la ricercatrice-startupper. Soprattutto a livello culturale. «Quando sei all'estero, parli con venture capital e investitori e magari scoprono che lavori a Roma e ti occupi anche di startup fanno una faccia strana. Non conoscono il nostro mercato, sgranano gli occhi. Vivono di stereotipi, quando poi gli spieghi che Stereomood è italiana come pure Mopapp che ha vinto Seedcamp a Berlino o Yoox è quotata in Borsa quasi si stupiscono. È vero che il nostro è un mondo piccolissimo, agli eventi ci conosciamo tutti. È anche vero che siamo ancora un po' provinciali, stiamo nel nostro piccolo, abbiamo come paura di guardare fuori. Ma qualcosa sta cambiando Il gruppo di Italian Startup Scene (Iss) su Facebook dove ci confrontiamo sta crescendo moltissimo. Manca una exit, ecco. Quella servirebbe». In altre parole, manca una grande acquisizione, magari da parte di un attore industriale italiano in grado di dimostrare che la nostra impresa ha bisogno di adottare piccoli innovatori.
Il pericolo secondo la Bassoli però è un altro. «In questo momento c'è molta confusione intorno al tema della startup. È una parola di moda – spiega –. Spesso si scambia una pmi con una startup, investimento di poche centinaia di migliaia di euro per caso di successo. Le startup per dirsi tali hanno caratteristiche precise: devono, per esempio, essere scalabili, ad alto rischio ma anche ad alto potenzionale, capaci di promettere un ritorno sugli investimenti di un certo tipo. Se si fa troppa confusione temo il rischio bolla». Troppo entusiasmo, pochi soldi e un po' di marketing. «Sarebbe un'occasione perduta. Nel mio piccolo sono ottimista – sbotta –. Non voglio rassegnarmi a dover per forza emigrare a Berlino o a San Francisco. Mi conforta, per certi versi, l'esperienza al ministero. C'è davvero molto da fare, bene inteso, ma tornare indietro, beh quello pare impossibile». Pare, appunto.
luca.tremolada@ilsole24ore.com
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