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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2012 alle ore 08:18.

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Parlando di recente a Edimburgo, il presidente di Google, Erich Schmidt, ha affermato che un requisito fondamentale per una società innovativa è «ricomporre la frattura fra arte e scienza». Sembra peculiare che il presidente di una corporation globale multimiliardaria dell'high-tech indichi come requisito chiave per l'innovazione l'abbattimento del muro divisorio fra questi due mondi, ma in realtà è un concetto sentito e risentito, a partire dal VI secolo avanti Cristo, quando Pitagora applicò la matematica alla musica.
Oggi da un lato c'è il detto, diffuso negli ambienti del venture capital, secondo cui il team ideale per una startup include «un hacker, un venditore, un visionario e un designer». Dall'altro lato stiamo vivendo una crisi del tradizionale sistema di istruzione compartimentato per discipline, che separa subito artisti e scienziati e frappone una serie di ostacoli sociali e infrastrutturali alla loro interazione, già a partire dalla scuola superiore. In un mondo post-Google, dove la trasmissione di informazioni unidirezionale come fulcro del sistema dell'istruzione non ha più senso, e dove è utile al contrario incoraggiare il pensiero creativo e l'esperienza di lavoro all'interno di squadre interdisciplinari, questo meccanismo ormai è dannoso per i nostri studenti.
L'ultimo decennio ha visto emergere tutta una serie di spazi ibridi, contesti favorevoli a nuovi tipi di collaborazione fra arte, scienza, design e tecnologia. La Science Gallery del Trinity College di Dublino, uno spazio per collisioni creative fra arti e scienze che ho fondato nel 2008, è uno di questi contesti, supportato dal Wellcome Trust, da Google e da altri partner. In un programma, chiamato Infectious, abbiamo invitato artisti, scienziati, ingegneri e imprenditori per proporre e sviluppare progetti legati al concetto del contagio, dai media virali e dal panico finanziario fino alle epidemie, compresa una simulazione epidemica digitale dal vivo in tempo reale, sviluppata in collaborazione con la Fondazione Isi di Torino. Uno dei vantaggi di un approccio di questo tipo è il fatto di stimolare nuovi dialoghi che attraversano i confini delle varie discipline, ad esempio mettendo nella stessa stanza un epidemiologo, un esperto di marketing virale e un economista per discutere dei meccanismi della crisi finanziaria e ricavando intuizioni nuove dai rispettivi metodi e approcci. La Science Gallery offre un contesto a basso rischio, perfino giocoso, per queste esplorazioni, mettendo a disposizione uno spazio per conversazioni e collaborazioni che in altri contesti universitari non avvengono facilmente, e creando di fatto una «membrana porosa» che mette in collegamento il mondo universitario con le comunità creative e imprenditoriali della città, incanalando il feedback del pubblico su nuove idee.
Ci sono molti altri esempi interessanti di spazi ibridi in tutto il mondo, parecchi dei quali nati negli ultimi anni. Le Laboratoire, a Parigi, è un laboratorio artistico-scientifico creato dal professore di Harvard David Edwards, dove un esperimento ha portato alla creazione del «cioccolato inalabile», un'idea che magari alla Nestlé avrebbero liquidato con sufficienza, ma che ora è l'asse portante di una società chiamata Breathable Foods, che ha attirato importanti investimenti. L'Ars Electronica FutureLab di Linz è un laboratorio per lo sviluppo di prodotti in cui le aziende possono trasformare in futuri prodotti le idee di artisti e scienziati, sfruttando l'Ars Electronica Festival. Negli ultimi cinque anni sono spuntati fuori in ogni parte del mondo, da Barcellona a Pechino, un gran numero di incubatrici, musei e gallerie che tracciano legami fra arti e scienze. La Commissione europea recentemente ha finanziato due importanti progetti che cercano di gettare un ponte fra i due mondi, lo StudioLab e il KiiCs, con il coinvolgimento della Città della scienza di Napoli.
Questi spazi e progetti ibridi sono importanti non solo per il valore culturale, sociale e commerciale che generano nel breve periodo, ma anche, a un livello più profondo, per l'opportunità di sviluppare e pilotare nuovi modelli di istruzione, che forse potranno aiutarci a raccogliere la sfida più importante del XXI secolo: reinventare la scuola per farne un contesto propizio alla creatività.
Michael John Gorman è direttore
e fondatore della Science Gallery di Dublino
(Traduzione di Fabio Galimberti)
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arscientia a venezia
Dialoghi in laguna. Michael John Gorman, direttore della Science Gallery di Dublino interverrà l'8 giugno a Venezia nell'ambito di «Arscientia», manifestazione che punta a far dialogare arte, scienza e impresa. Con lui a discutere del tema anche Maria Grazia Mattei, che racconterà le nuove tecnologie della comunicazione e delle forme espressive provenienti dal mondo dell'arte
e Stefania Quaini che presenterà The Hub, rete internazionale di innovatori sociali. Arscientia, progettato da Fondaco e Picapao, è un format che si svolgerà nel Nord-Est nell'arco del prossimo anno. www.arscientia.eu

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