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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2012 alle ore 11:42.

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(Reuters)(Reuters)

Giro di vite per ridurre gli pseudonimi su Youtube. Se un utente lascia un commento a un video o carica un filmato vedrà apparire la richiesta di adoperare il suo nome reale. E di collegare il proprio profilo nel social network Google+. È il primo passo di un breve percorso. Gli iscritti possono scegliere di accettare l'invito, oppure di non tenerne conto: in questo caso, però, devono specificare tra sei opzioni il motivo per cui vogliono rinunciare a impiegare la loro vera identità.

In precedenza, la rete sociale Google+ aveva avviato una campagna per convincere le persone a non usare pseudonimi. Che, in particolare, sono scelti da una minoranza di iscritti (i "troll") capaci di ostacolare le discussioni. E, in altri casi, facilitano discorsi dell'odio.
La partecipazione del pubblico all'interno dei social network online cambia abitudini radicate. Un tempo era diffuso il motto secondo cui su Internet nessuno sa che potresti essere un cane: era una semplificazione per indicare che dietro un nickname poteva esserci chiunque. Ma con le reti sociali online avviene un rapido passaggio alle identità autentiche. Ad esempio, poco dopo il terremoto in Giappone Facebook ha diffuso nelle sue pagine annunci di pubblica utilità, come gli orari dei treni operativi durante l'emergenza. E ha contribuito a distribuire informazioni per i soccorsi sul campo. Nell'ultimo anno gli iscritti nipponici a Facebook sono aumentati del 51% e raggiungeranno entro la fine del 2012 il 12% della popolazione locale online, stima Emarketer. Molti hanno rinunciato al tradizionale anonimato quando sono entrati nel social network: la consuetudine prevalente nelle reti sociali su Internet in Giappone, come Mixi, era invece di adoperare un nickname.

Altri sono di fronte a un bivio. L'amministratore delegato di Twitter, Dick Costolo, ha annunciato che sono allo studio meccanismi per ridurre i commenti-spazzatura messi in circolazione da utenze nascoste dietro nomi inventati. Ma il rischio è di limitare allo stesso tempo la circolazione delle informazioni se le misure di contrasto non saranno efficienti. Secondo il quotidiano economico Financial Times, non sono poche le battaglie legali nei tribunali inglesi iniziate dopo la pubblicazione di notizie diffamatorie su Twitter.
Alcune recenti iniziative legislative mirano ad arginare i discorsi dell'odio che trovano terreno fertile nell'anonimato. Una proposta di provvedimento presentata nello Stato di New York punta a combattere il bullismo online. E chiede una drastica riduzione di coloro che mascherano la loro vera identità: impone ai gestori di siti web di rimuovere, su eventuale richiesta, i commenti anonimi se non vengono associati a nomi reali, indirizzi Internet e numero civico dell'abitazione di residenza. A riaprire il dibattito è stata anche la vicinanza delle elezioni politiche negli Stati Uniti.

Eppure gli pseudonimi restano una quota non trascurabile nei commenti. Disqus è una piattaforma che abilita gli interventi su blog e siti online: ha rilevato che tra i suoi utenti il 61% delle opinioni valutate in modo positivo (ad esempio, con i voti "mi piace") sono espresse da persone che usano un nickname. Il 34%, invece, viene pubblicato da anonimi e il 4% è associato con identità collegate ai social network, come nel caso dei profili di Facebook.

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