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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2012 alle ore 14:42.

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I coreani pagano, ma è Google che tremaI coreani pagano, ma è Google che trema

La Samsung ha copiato l'iPhone della Apple e deve pagare un miliardo di dollari di danni. È la convinzione diventata sentenza di una giuria popolare californiana maturata dopo un mese di processo coordinato da una giudice di origine coreana. È una sentenza che fa storia. Ma è una storia che resta da scrivere.

È una vittoria della Apple, questo è chiaro. Ma è una vera sconfitta per la Samsung? O è peggio per Google?
E come la prende la Microsoft? L'intera industria delle comunicazioni mobili è in fibrillazione. Il dato apparentemente chiaro stabilito nella sentenza, in realtà, genera poche certezze per il futuro. Perché la proprietà intellettuale resta un territorio denso di sfumature. In passato, la Apple si era legittimamente ispirata al lavoro dello Xerox Parc per disegnare il suo Macintosh e aveva poi accusato la Microsoft di aver copiato la sua interfaccia grafica per fare il Windows, ma non era riuscita a far valere le sue ragioni.

Oggi, in una vicenda per certi versi simile ha invece avuto ragione e l'avversaria Samsung è stata condannata. Certo, nel frattempo le regole sono state precisate e i brevetti sono diventati pratica abituale nell'industria digitale: ma decidere se un'azienda copia un'altra resterà difficile. Perché la tecnologia, proprio grazie alla Apple, non è più un insieme di oggetti pensati per la loro precisa funzione e utilizzabili solo da chi ne conosce il segreto meccanismo: proprio il design intuitivo della Apple che consente a chi prende in mano un prodotto di usarlo senza dover leggere il manuale di istruzioni ha consentito all'azienda di Cupertino di inventare intere categorie di prodotti nuovi, condannando tutti gli altri a ispirarsi e copiare. Ma resterà difficile impedire ad altri di produrre oggetti che hanno la forma standard della loro categoria di prodotto, anche se quella forma è stata inventata da un leader culturale riconoscibile. Insomma, questo tardivo riconoscimento legale della capacità creativa della Apple non elimina il problema più difficile: l'estensione della proprietà intellettuale continuerà ad aver bisogno di un limite, alla ricerca del sottile equilibrio tra gli incentivi per chi innova e le libertà garantite a chi vuole competere.

E dunque che equilibrio genera questa sentenza? L'ammontare dei danni che Samsung dovrà pagare è enorme, ma consente ai coreani di continuare a macinare quote di mercato e utili nel settore degli smartphone. Il probabile ricorso potrà confermare, o ridurre, o addirittura peggiorare la misura dei danni che la Samsung dovrà pagare: ma non potrà eliminare la forza conquistata dalla Samsung in un settore che in passato era stato dominato da Rim e Nokia. Anzi: visto come sta andando a finire, i canadesi del Blackberry e i finlandesi che un tempo controllavano un terzo del mercato dei cellulari mondiale potrebbero cominciare a fare i conti di quanto meno avrebbero perso se avessero copiato anche loro i prodotti della Apple.

Ma c'è dell'altro ancora: la sentenza in realtà stabilisce che il vero «copione» è Google che ha scritto il sistema operativo Android, adottato non solo da Samsung ma anche da molte altre aziende. Queste possono temere che la Apple faccia causa anche a loro, oppure possono cercare di pagare delle royalty, o ancora possono abbandonare il sistema di Google. Il nuovo sistema operativo per smartphone della Microsoft non è stato condannato da una sentenza e potrebbe essere un'alternativa, vista l'attenzione che sta creando, per esempio, intorno ai prodotti Nokia che lo montano. Intanto, la Rim sta a sua volta per uscire con un nuovo sistema operativo libero da pendenze legali: chi lo ha visto dice che sarà competitivo.

Una conseguenza generale della sentenza potrebbe essere però più radicale: la forma emergente dell'internet mobile dipende della mancanza di quella neutralità della rete che nell'internet fissa garantisce il successo degli standard aperti. Nell'internet mobile ogni produttore può tentare di costruire un suo mondo tecnologico e di difenderlo come se fosse una piattaforma autonoma. Questa sentenza che spaventa chi copia, potrebbe rafforzare chi costruisce piattaforme «uniche» e non facilmente «interoperabili». In questo senso, le classiche strategie di Apple, Microsoft e Rim potrebbero uscirne rafforzate, mentre proprio Google ne soffrirebbe di più. Una punizione per un'azienda che aveva sempre difeso la bandiera della net neutrality e che l'aveva abbandonata proprio quando si era trattato di sostenerla anche nella rete internet mobile.

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