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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2012 alle ore 13:40.

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Relatori di eccellenza, come David Gann e Joan Busquets (rispettivamente Docente di Gestione dell'Innovazione e della Tecnologia dell'Imperial College Business School di Londra e Docente di Practice of Urban Planning and Design alla Harvard University), e la solita cornice d'eccezione di Villa d'Este a Cernobbio, sul lago di Como.

Il classico appuntamento con il workshop organizzato da The European House – Ambrosetti si è arricchito quest'anno di uno studio (realizzato dalla nota società di consulenza per conto di ABB) focalizzato sul tema delle Smart Cities. Di quei progetti di città intelligenti, questa la definizione coniata per presentarli, che guardano a "modelli urbani capaci di garantire qualità della vita e crescita personale e sociale di persone e imprese nel segno di una maggiore ottimizzazione delle risorse e di maggiori spazi per la sostenibilità".

A che punto è l'Italia di questo percorso? Lo studio ha analizzato per l'appunto le "best practice" e le azioni necessarie per diventare più "smart" (sette le proposte messe sul tavolo) partendo dall'attuale livello di "smartness" raggiunto dei principali centri urbani. Ed è entrato soprattutto nei dettagli di natura economica di un'Italia più "smart", stimando cioè gli investimenti necessari in rapporto al Pil per i prossimi 20 anni e il ritorno possibile per singoli settori (in termini di aumento del prodotto interno lordo)

Il punto focale della questione, a detta dell'Amministratore Delegato di ABB, Barbara Frei, è legato alle opportunità insite in un'evoluzione necessaria che deve però essere sistematica, e quindi organizzata e strutturata tenendo conto delle caratteristiche peculiari delle città italiane. "Quanto potrebbe costare al sistema Italia - questa la provocazione lanciata dalla Frei - "il fatto di non scegliere, di non investire, di non progettare, di non governare un cambiamento che nonostante tutto e tutti, si avvicina?"

L'invito a procedere sulla base della condivisione di progetti politici, economici e sociali è un ritornello sentito altre volte, per esempio quando si è parlato di digital divide e di nuove reti a banda larghissima. È infatti fondamentale, secondo la Frei, che le "istituzioni si impegnino a delineare una strategia di medio e lungo periodo che crei le basi fondanti per l'evoluzione e il cambiamento" in chiave Smart Cities (e qualcosa in tal senso si è mosso nell'ambito dell'Agenda Digitale). Rimane il fatto che le città possono diventare più intelligenti solo a fronte di investimenti dedicati, e che presuppongono ritorni ben definiti.

Il rapporto entra come detto in questi dettagli (le rilevazioni sono state condotte in collaborazione con la Fondazione EnergyLab). Per trasformare l'Italia in un Paese "più smart" serve investire tre punti di Pil, e cioè circa 50 miliardi di euro all'anno (che si riducono a sei miliardi se l'intervento si rivolge solo alle 10 principali città), da qui al 2030. I ritorni? Fino a 10 punti di Pil all'anno (senza contare i benefici – non qualificati nel rapporto - in termini di immagine e competitività internazionale, coesione sociale, creatività, innovazione, diffusione di conoscenza, vivibilità). Come ottenerli? Attraverso l'adozione di nuove tecnologie finalizzate al recupero di efficienza e produttività e alla riduzione dei costi di transazione.
Da qui le sette proposte di cui sopra, che nascono dal mettere a fattor comune spunti e riflessioni emersi nel corso dello svolgimento della ricerca e i contributi forniti da esperti ed opinion leader italiani ed internazionali.

Un'Italia più "smart" sarebbe quindi possibile definendo, innanzitutto, una "visione del Paese e una strategia per realizzarla, riaffermando il ruolo di indirizzo del Governo" e mettendo a punto "una governance nazionale per i temi smart che indirizzi l'azione e componga gli interessi trasversali". A livello aggregativo e propulsivo, buona cosa sarebbe "lanciare la versione italiana del modello europeo di partenariato per l'innovazione rivolto alle smart city", cui dare seguito con l'istituzione di "un premio per le prime cinque città che raggiungono il massimo livello di intelligenza misurato con la metrica dei benefici effettivi per i cittadini".

Quindi l'execution dei progetti, fase sempre molto a rischio nel nostro Paese, che passa dal "portare a compimento o a chiudere definitivamente alcune iniziative avviate e mai concluse, direttamente o indirettamente legate alle smart city" e dal "promuovere soluzioni smart già disponibili e a basso costo in grado di produrre progressi significativi a brevissimo termine". Per arrivare, infine, all'obiettivo ultimo: aumentare del 10% in cinque anni il tempo "realmente libero" degli italiani. Rispetto al paradigma che "smart" non può essere un qualcosa di elitario ma un bene comune cui tutti tendere.

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