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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2012 alle ore 08:24.

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Da più di 15 anni la regolamentazione e le politiche sul web sono ossessionate da un unico obiettivo: rendere impossibile o più complicata per le persone la condivisione di opere digitali, anche quando non esistono opportunità di lucro. I produttori di dispositivi multimediali e le piattaforme di distribuzione dei contenuti hanno installato una tecnologia per controllarne e valutarne l'utilizzo (Drm, digital rights management); hanno ottenuto leggi che vietano azioni volte ad aggirare questa tecnologia, anche quando funzionali a un uso legittimo. Le grandi case editrici hanno chiesto di mettere in atto una giustizia automatizzata, dove una polizia privata sanziona e bandisce gli utenti da internet (succede in Francia e in Corea) perché rei di aver condiviso dei file. Hanno cercato di costringere gli intermediari a censurare i contenuti e i siti accusati di violare il copyright ancora prima che una sentenza del tribunale confermi la presunta violazione. A volte hanno ottenuto delle sanzioni penali contro gestori di siti - come Pirate Bay - usati dagli utenti per condividere opere, anche se questi siti non violano in alcun modo il copyright.
È legittimo impedire la condivisione non commerciale di opere digitali tra gli individui? Come funzionerebbe un'economia digitale compatibile con la condivisione, e quali politiche servono al suo sviluppo?
Nel mondo pre-digitale, quand'era difficile separare le opere dal loro supporto materiale (libri, dischi), le persone avevano pieno diritto di disporre di un'opera in loro possesso, in certi casi persino per scopi commerciali - come rivendere un libro. Tuttavia questa libertà non si estendeva alla copiatura dell'opera, ed era piuttosto ragionevole dato che la riproduzione di oggetti fisici esigeva degli investimenti di natura commerciale. In ogni caso, invece di annullare i diritti dell'utente sulle opere digitali, è possibile un'altra strada, e cioè ridefinirli in una maniera che sia adeguata al mondo digitale. La mia idea è di pensare alla condivisione personale e non commerciale di opere digitali (senza la centralizzazione dei contenuti sui siti web) come un diritto culturale fondamentale, tramite una nuova definizione dell'esaurimento dei diritti sulle opere digitali, che riguardi esclusivamente gli scambi non commerciali e senza lucro tra gli individui ma che includa il diritto di copia.
Gli studi sull'impatto che ha il file-sharing sul consumo privato delle opere digitali inducono a pensare che, anche quando la condivisione è ammessa, l'impatto negativo è comunque limitato. In compenso, c'è un impatto positivo su altri segmenti dell'economia della cultura, come i concerti e altre forme di rappresentazione pubblica, compresi gli spettacoli a teatro o l'insegnamento. Ma non è questa la ragione principale a favore della legittimità del file-sharing. Sarebbe giustificata anche da altri motivi, persino nel caso in cui l'impatto negativo per editori e distributori fosse maggiore. Il primo è il ruolo che ha nella crescita culturale, il possesso del file digitale di un'opera e la capacità di gestirlo e condividerlo con altri. La principale difficoltà della cultura digitale è che grazie alle tecnologie dell'informazione, al web aperto e alla massiccia condivisione che hanno di fatto consentito, c'è un altissimo numero di persone impegnate in attività creative di valore.
Se si permette la condivisione, si possono adottare meccanismi di finanziamento che riconoscano ad autori, artisti e altre figure coinvolte nella creazione, dei diritti sociali di remunerazione. Questi soldi incoraggerebbero nuove opere e intermediari capaci di dare un valore aggiunto. Siamo davanti a un bivio decisivo: o assicurare la sostenibilità di una società culturale many-to-all, dove siano riconosciuti sia i diritti degli autori che quelli del pubblico, oppure conservare così com'è un sistema di copyright che soddisfa soprattutto gli intermediari "a caccia di rendite", i detentori dei diritti e un gruppo molto circoscritto di artisti affermati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Autore di «Sharing: Culture and
the Economy in the Internet Age»,
Amsterdam University Press (2012)

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