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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2012 alle ore 08:34.

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di Luca Tremolada
«Era una storia che volevo raccontare da sempre, quando mio padre beveva diventava un mostro. Ricordo che mi rifugiavo nella mia stanza, giocavo a SuperMario per sfuggire alla realtà. Dopo 10 anni di psicanalisi per affrontare i miei demoni ho progettato un videogioco». Vander Caballero ha trasformato il suo passato di figlio di un genitore alcolista in «Papo & Yo», un gioco che lo stesso Caballero definisce emozionale e per chi lo ha provato è un pugno nello stomaco. Il protagonista è Quico, un bambino sudamericano che vive insieme al suo gigantesco compagno che soffre di una dipendenza dall'assunzione di particolari rane velenose. Quando ne mangia una, si scatena in una rabbia furiosa, che lo rende incontrollabile e inarrestabile. «Ho scelto delle metafore per stemperare quello che avevo nella testa – racconta il direttore creativo di Minority, una piccola software house (12 dipendenti) che si sta dedicando a questi progetti –. Gli alcolici sono diventati rane velenose, mio padre un mostro, il suo corno nella mia testa era la bottiglia a cui si incollava la bocca di mio padre». Eppure, non sono le metafore a entrare nelle viscere. Non è la trasposizione ludica di un'esperienza di vita drammatica come quella di Caballero a rendere un videogioco un'esperienza emozionante.
Da anni l'industria videoludica si interroga sull'opportunità di affrontare temi e situazioni adulte. Fino a oggi il mercato ha dato spazio a fantasie da ragazzi: la paura (il genere dei survival horror), la rabbia e l'aggressività (sparatutto) e l'appagamento o l'eccitazione che per esempio proviamo quando usiamo un simulatore di volo. L'amore, la nostalgia, la perdita sono emozioni che i videogiochi non possono o forse non vogliono affrontare. «Eppure – osserva Caballero – il mio mestiere non è diverso da quello di chi racconta delle storie. Anzi, i videogiochi sono un tool che ti insegna a capire i sistemi. Non c'è motivo per essere costretti ad andare al cinema per affrontare contenuti più adulti».
A pensarla come Caballero però sono una sparuta minoranza. Game designer come Will Wright (Sims), David Cage (Heavy Rain), Fumito Ueda (Ico, Shadow of the Colossus), Peter Molyneux (Fable) e Jenova Chen (Journey) sono incensati dalla critica ma restano straordinarie esperienze di nicchia da un punto di vista economico.
«L'industria nel suo complesso vuole scommettere sul sicuro, non si prende rischi, preferisce guardare al pubblico di teenager. Non sbagliano ma a noi – commenta David Cage – interessa un altro tipo di esperienza interattiva». Il fondatore di Quantic Dream sta lavorando a "Beyond Two Souls", un thriller psicologico interpretato (è proprio il caso di dirlo) dall'attrice Ellen Page che uscirà all'inizio del 2013 su Ps3. Il gioco del produttore francese prova ad affrontare con meccaniche ludiche un tema esistenziale come quello della vita dopo la morte. Allo stesso modo con "Heavy Rain" si era interrogato su «quanto siamo disposti a sacrificare per amore». Giudicati dei film interattivi per l'ampio spazio dedicato alla sequenza cinematografica in computer grafica, i giochi di Cage hanno il pregio di girare intorno a eventi, situazioni e persone dando al giocatore il controllo di una sorta di telecamera virtuale. «Credo sia sbagliato concentrarsi sul genere. Non mi domando mai se sto realizzando un film o un gioco. Se andrà bene per hardcore gamer o per principianti. Uso un media interattivo e lo sfrutto in quanto tale».
Finora le poche pochissime esperienze ludiche sul mercato hanno dimostrato che più che la storia in quanto tale sono le meccaniche di gioco a rendere questi giochi diversi dagli altri. La materia su cui vogliono interagire sono le emozioni senza però prescindere dal ruolo attivo del giocatore. In "The Unfinished Swan" (progettato da Giant Sparrow per Ps3) l'antefatto è straziante. La mamma del bambino di nome Monroe era più brava a cominciare le cose che a finirle. Quando scompare al bambino non restano che i suoi quadri incompiuti. Una notte Monroe si sveglia, magicamente entra in una tela bianca sulle tracce di un cigno che la condurrà in un mondo creato dai ricordi della madre. Quando comincia il gioco ci si trova in un luogo completamente bianco in cui non è possibile distinguere nulla se non utilizzando un pennello (un controller) per lanciare gocce di inchiostro nero. A ogni gesto le macchie danno profondità a una favola che risuona delle suggestioni del "Piccolo Principe" di Saint-Exupéry. Tuttavia è la poesia della narrazione a rendere emozionate il gioco. In "Fable: The Journey" (esclusiva per Xbox 360) il tentativo invece è quello di creare una relazione usando i movimenti del corpo e quindi la periferica Kinect. «Con le mani impariamo, dai gesti passano le emozioni» ha spiegato Peter Molyneux, il visionario creatore di "Fable" che da anni sta innovando il genere del gioco di ruolo. Nel gioco, non riuscitissimo a dire il vero, viene sperimentato uno spettro ampissimo di colori emotivi. Manca però il contatto, in Kinect viene rilevato il movimento, il gesto di accarezzare un cane virtuale non trasmette quelle sensazioni che solo il tatto sa veicolare. L'emozione per dirla in altro modo passa dal corpo. Un tentativo di unire realtà virtuale e dispositivi reali è Wonderbook, un software di realtà aumentata che sfrutta la videocamera di PlayStation Eye, legge le pagine di un libro reale e potenzia l'esperienza della lettura disegnando sullo schermo animazioni, creature e ambientazioni digitali con cui si può interagire. Per i bambini l'emozione è tutta nella magia delle animazioni. Per il mercato una piattaforma per sperimentare nuove forme di letteratura per bambini.

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