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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2013 alle ore 14:22.

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«Quando un anno fa abbiamo aperto The Imaginarium avevamo in mente una specie di vivaio vittoriano: non solo uno spazio di tecnologia, ma anche un luogo per liberare le creature della nostra immaginazione». Così Andy Serkis, Gollum del «Signore degli anelli», ci accoglie nel suo laboratorio londinese di performance capture (o "motion", a seconda della scuola di pensiero), che nel 2013 si prepara ad affrontare le sue prime vere sfide produttive.

Siamo negli Ealing Studios, periferia ovest della capitale: qui è stato scritto un pezzo di storia del cinema inglese, dagli anni '30 in poi. Serkis condivide quest'avventura (e l'ufficio) con Jonathan Cavendish, il produttore di «Bridget Jones», l'uomo della concretezza per The Imaginarium, che ha procacciato i 3 milioni e mezzo di euro necessari solo per metterlo in piedi.

Il tono dell'ufficio dal quale parte la nostra visita rispecchia invece Serkis: montagne di cartapesta, anelli e armature lo fanno sembrare l'antro di Gollum, il personaggio che ha interpretato già quattro volte (con i futuri film dello «Hobbit» arriverà a sei).

Nella Terra di Mezzo ricreata da Peter Jackson in Nuova Zelanda, Serkis è diventato il più importante attore di performance capture al mondo, e ha sviluppato la voglia di mettersi in proprio: «Qui sperimentiamo una nuova generazione dello storytelling, solo un lavoro sulla narrazione farà crescere davvero questa tecnologia ed esplodere la sua libertà creativa». Il primo vero progetto con cui misurare questa ambizione è l'adattamento cinematografico (il terzo di sempre) della «Fattoria degli Animali», il romanzo allegorico scritto da George Orwell nel 1945, che sarà anche l'esordio alla regia di Andy Serkis.

«È il progetto perfetto per sperimentare il performance capture. In fondo, nel '54 fu anche il primo lungometraggio animato del cinema inglese. Oggi per esempio ci permette di avere un'intera linea di produzione e ricerca dedicate solo ai facciali, che sono la parte più importante e difficile del performance capture». I sensori sul viso (almeno 30, di cui due per sopracciglio, su un totale di 80 su tutto il corpo) devono essere in grado di cogliere tutte le sfumature della recitazione. Non si sa ancora se Serkis farà parte del cast. Ma è difficile che il film non sfrutti il volano della sua fama: ha lavorato in «King Kong» come Kong, è stato Caesar nell'«Alba del Pianeta delle scimmie», Capitan Haddock nel «TinTin» di Spielberg, la gente lo riconosce per strada anche se il suo vero volto sullo schermo appare pochissimo. Le riprese partiranno a settembre e il film sarà pronto per il 2014: «Non voglio fare un'opera esasperatamente politica, sarà una favola per famiglie, parlerà di emozioni: un Orwell come non l'avete mai visto».

Oltre a una squadra di 26 tra sceneggiatori, producer, informatici, tecnici e animatori, c'è un tassello decisivo per la riuscita del progetto: gli attori. Per un film in cui tutti i ruoli sono con tuta e guanti, serve una nuova generazione di interpreti in grado di trasmettere emozioni anche senza un set e dei costumi. Per questo The Imaginarium è anche un'accademia di recitazione. Su centinaia di candidature, sono stati scelti in 15 per accedere ai segreti di Serkis, che qui viene trattato come un guru ("La visione di Andy", "Le idee di Andy"). A suo parere l'attore ideale per il performance capture deve avere due doti: «Immaginazione potente, per ricreare nella sua mente quello che nello spazio fisico è invisibile. E una notevole velocità di pensiero». Perché, prima, i tempi dei cambi di set consentivano un ambientamento graduale, ora si passa dal chiuso di un fienile ai campi aperti con un click, e la mente deve adattarsi di conseguenza.

A guidarci nel camerino dell'attore digitale è Johl Garling, direttore del set e braccio destro di Serkis. Non ci sono costumi ma solo tute grigie di licra. Devono essere cucite su misura, ogni attore ha una sua geografia personale dove piazzare i sensori. C'è un armadio di scarpe (quasi tutte sneaker, ma anche un paio tacco 12 con i marker pronti) e il cassetto dei guanti, ai quali mancano sempre almeno due dita: «Gli attori riescono a sopportare di stare in tuta tutto il giorno, a patto che possano usare gli smartphone. Se il computer traccia tre dita, può calcolare le altre due». E poi c'è il set, ed è ovviamente uno spazio vuoto, di 10 metri per 20. I tecnici lo chiamano: "The volume".

Una striscia di nastro isolante ne delimita i confini, cento telecamere a infrarossi sono puntate sui movimenti degli attori, e una trincea di computer ricrea gli ambienti su monitor. Ma stupisce, per una produzione al 100% digitale, la quantità di oggetti analogici presenti. Scudi di plastica, spade e balestre di fil di ferro, armi in cartapesta: «Anche se ogni cosa viene riprodotta al computer, agli attori serve avere qualcosa in mano, che ne simuli il peso contro il corpo». Tutte queste armi non servono al set di Orwell, ma per i videogame, che sono ancora una delle principali applicazioni del motion capture (e per ora fonti di guadagno per The Imaginarium).

Nel futuro, però, Serkis vede molto più del binomio cinema e videogiochi. «Stiamo studiando applicazioni per la danza, il teatro, la musica dal vivo». E anche forme ibride di spettacolo. «Il cinema di domani sarà molto più immersivo di quello che conosciamo oggi: con il motion capture anche lo spettatore avrà il suo avatar cinematografico. Tra non più di dieci anni il pubblico potrà entrare e muoversi nell'ambiente del film come dentro i vecchi laser game».

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