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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2013 alle ore 13:52.

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La percezione diffusa è che il mondo della tecnologia tenda ad allontanarsi sempre di più da quello della Natura. Tuttavia la visione scientifica oggi prevalente è quella che vede la tecnologia ispirarsi sempre di più alla Natura per trovare soluzioni economiche, praticabili e funzionali. Ce lo ha confermato il fisico Roberto Cingolani, che parlerà di questo tema sabato prossimo a Bologna, nell'ambito della manifestazione Arte e Scienza in Piazza, in un dibattito dal titolo «Tecnologie per umani e umanoidi». Poco più che cinquantenne, Cingolani è fondatore e direttore dell'Istituto italiano di tecnologia di Genova. «Le tecnologie del futuro – ci ha spiegato – saranno incentrate sull'uomo e ispirate all'evoluzione». Le strutture create dalla Natura, infatti, sono state ottimizzate da miliardi di anni di evoluzione, e hanno perciò un notevole vantaggio in termini di efficienza. «Per esempio – spiega il fisico – il nostro cervello è una sfera fatta al 75% d'acqua, che lavora attraverso scambi di ioni. La sua controparte artificiale, il processore, è ben diversa: un oggetto planare, fatto di silicio e metallo, che lavora attraverso scambi di elettroni. Il primo con 450 Kcal di energia (quelle contenute in una barretta di cioccolato) è in grado di eseguire 10^18 operazioni al secondo, mentre il secondo ha bisogno di centinaia di Watt per eseguirne solo alcuni miliardi. Non ci sono dubbi su quale sia il più efficiente!».

La tecnologia, quindi, dovrebbe ispirarsi all'uomo che, «se si ferisce, contiene piccoli operatori biologici che vanno a chiudere la ferita, a differenza di un dispositivo metallico che, se subisce un urto, va portato dal carrozziere». Questo approccio richiede transdisciplinarietà, poiché sono svariati i campi del sapere coinvolti. Per esempio, volendo costruire un muscolo artificiale, si potrebbe pensare di utilizzare un fascio di fibre di carbonio. Le quali tuttavia, a differenza delle fibre muscolari, non sono per ora in grado di contrarsi a comando, né di trasmettere segnali. Una delle direzioni in cui si sta operando, perciò, è la possibilità di creare fibre di carbonio intelligenti, che coinvolge nanotecnologia, informatica, scienza dei materiali e così via.

L'obiettivo di tutto questo per Cingolani è di creare robot umanoidi, il più possibile simili all'essere umano: non fatti di viti e bulloni, ma "soffici". Che non avranno bisogno di molta energia, e funzioneranno con celle a combustibile alimentate con gli scarti. Dovranno essere senzienti e in grado di prendere decisioni, per affiancare l'uomo in casa e sul lavoro come strumenti versatili, e assumere di volta in volta il ruolo di giardiniere, infermiere, badante, con la facilità con cui oggi passiamo da un'app all'altra sul nostro tablet. Una robotica "bioinspirata", che vada verso l'uomo e non se ne allontani.

Di fronte alla possibilità che, davanti a creature tanto simili a sé, l'uomo possa provare una reazione di rigetto, il cosiddetto effetto "uncanny valley", Cingolani ricorda che non si tratta di creare uomini artificiali. «Per creare uomini abbiamo già un metodo che funziona da miliardi di anni. L'obiettivo è invece di creare macchine in grado di prendere piccole decisioni e di agire dove per l'uomo è pericoloso lavorare, come a Fukushima. Oppure di aumentare le prestazioni dell'uomo, per esempio con un esoscheletro che possa ridare la mobilità a un disabile. Lo sviluppo della robotica deve essere centrato sull'uomo per l'uomo, ma non sostitutivo dell'uomo».

«In ogni caso – prosegue il fisico – la diffidenza atavica che ha l'uomo nei confronti delle macchine che in qualche modo lo superano può essere vinta, così come è avvenuto per l'automobile, il telefono, la televisione. Personalmente trovo che il fatto che ognuno di noi abbia un cellulare in grado di rilevare costantemente la sua posizione sia molto più inquietante dell'esistenza di un robot». Dove ci porterà tutto questo tra 100 anni? Secondo Cingolani, bisogna saper sognare: «Il corpo umano riesce ad auto-assemblarsi a partire da poche molecole di Dna e dagli elementi presenti nell'ambiente. Costa poca energia ed è interamente riciclabile. Se il Dna lo può fare, perché non poterlo fare col metallo, e permettere alla materia di auto-organizzarsi in quello che ci serve, usando un software equivalente al Dna?».

Ci si potrà arrivare, dato che la nostra conoscenza è incrementale, e molti filoni cominciano a mescolarsi. «Per esempio: la potenza dei processori cresce esponenzialmente seguendo la cosiddetta legge di Moore. Di conseguenza i computer sono sempre più potenti. Da questo deriva che tra poco si potrà fare l'analisi del genoma di una persona in un'ora per mille dollari. Questo ci dà accesso ai segreti del corpo umano e ci permette di fare medicina predittiva e traslazionale. Tutto è legato insieme: fare scienza oggi significa mettere insieme i background più diversi intorno a un target comune: l'uomo».

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