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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2013 alle ore 08:45.

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Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di effetti collaterali tutto sommato trascurabili rispetto a quanto sta avvenendo. Ma la situazione di Siena Biotech, gioiello biotecnologico fondato nel 2000 grazie al denaro investito dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena oggi a concreto rischio chiusura, forse avrebbe dovuto destare maggiore attenzione, anche al di là delle cronache locali, già diversi mesi fa, perché racchiudeva in sé molti dei segni che avrebbero potuto far pensare che la situazione stava precipitando.

L'istituto nasce come una sorta di completamento ideale di un parco biotecnologico di tutto rispetto, nato nel 1904, quando Achille Sclavo fondò l'Istituto Sieroterapico Toscano, in seguito passato alla Chiron e poi alla Novartis. Grazie alla legge sul rientro dei cervelli, Siena Biotech attira rapidamente ricercatori provenienti dall'estero, oltreché dal territorio, e si concentra su due filoni: l'oncologia e le malattie neurodegenerative come l'Alzheimer. Nel tempo, stabilisce collaborazioni importanti con altri enti di ricerca regionali e nazionali e con aziende quali Wyeth-Pfizer, Roche e altre, e riesce a portare nelle fasi precliniche alcune molecole. In un caso, poi, avvia le sperimentazioni cliniche e completa la fase II con esito positivo: è il selisistat, farmaco potenzialmente attivo nella còrea di Huntington, malattia neurodenegerativa contro la quale, a oggi, non c'è alcuna terapia, ricevendo anche dalla Food and Drug Admnistration e dalla European Medicines Agency (EMA) lo status di Orphan drug Designation. Ma l'istituto aveva avuto in dote, oltre a parecchio denaro (cento miliardi di lire in cinque anni per avviare l'attività, con previsioni, nel 2002, di investimenti per ulteriori 83 milioni di euro entro il 2007) per allestire un centro nuovo di zecca, anche una missione assai impegnativa: quella di produrre utili, come sottolineava Giuseppe Mussari già nel 2002, ribadendo che l'istituto era prima di tutto una spa. Target che, nella ricerca farmaceutica, fanno fatica a raggiungere anche aziende di ben più ampie dimensioni e in periodi di tempo spesso superiori ai dieci anni della vita di Siena Biotech. E così, a fronte di bilanci non proprio entusiasmanti, la Fondazione inizia a stringere sempre più i cordoni della borsa fino a quando, ad aprile 2012, viene avviata una cassa integrazione prima parziale, poi estesa a tutti e 107 i dipendenti. Per i quali, come hanno più volte sottolineato loro stessi in manifestazioni e scioperi nei quali hanno cercato di sensibilizzare la città un tutta la vicenda, il futuro sembra più che fosco. Se tutto resta com'è, non saranno probabilmente prese decisioni fino a dopo le elezioni amministrative, in calendario a fine maggio, e data la situazione del Monte nessuno si aspetta che la scelta sia quella del rilancio dell'istituto così com'è.

Sul futuro di Siena Biotech hanno idee molto diverse anche alcuni dei candidati alla carica di sindaco, figura alla quale, stante l'assetto attuale, spetteranno in parte le decisioni. Franco Ceccuzzi, candidato PD, sulla stampa locale ha affermato che Siena Biotech deve integrarsi maggiormente con le aziende e centri di ricerca presenti sul territorio e, in particolare, con la Tuscany Life Sciences, altro ente targato - anche se non esclusivamente - Fondazione del Monte dei Paschi di Siena, per rilanciare l'attività di ricerca pura nell'ambito di un sistema a rete.

Eugenio Neri, candidato sostenuto da sei liste civiche, pensa invece a una vera e propria trasformazione. Spiega Neri, cardiochirurgo, che al settore Life Sciences è particolarmente affezionato anche perché il fondatore della Sclavo, Achille, era suo bisnonno: "Nessuno oggi può sostenere progetti così ambiziosi come quello di mettere a punto e sperimentare nuovi farmaci in una realtà locale: se vogliamo assicurare un futuro sia ai dipendenti, che rischiano di finire in mezzo a una strada, sia a un patrimonio che ha un suo valore scientifico e tecnologico intrinseco, bisogna riconvertire Siena Biotech in un istituto di ricerca e servizio del territorio. Mi riferisco, in particolare, al settore agroalimentare, vera eccellenza del senese, per sviluppare il quale oggi manca un centro che possa fare ricerca d'avanguardia, genetica e non solo (pensiamo solo alla selezione delle sementi o delle razze), e fornire servizi adeguati.

Lo scopo di un centro di questo tipo dovrebbe essere quello di tutelare, migliorare e sviluppare di tutte le filiere certificate che abbiamo, dalle razze bovine come la chianina, ai vitigni, e contribuire a crearne di nuove". Una proposta a chilometro zero, dunque, per uno dei pochi settori ancora in salute, ma che per sopravvivere ha bisogno di un approccio scientifico e industriale e di una maggiore integrazione con i centri di ricerca universitari.

Anche per questo la storia di Siena Biotech andrà seguita nei prossimi mesi: vinceranno ancora una volta le logiche consociative del groviglio armonioso, oppure la senesità saprà evolversi, mandare avanti idee nuove e sostenibili e, soprattutto, lasciare fuori la politica?

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