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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2013 alle ore 08:18.

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Di necessità virtù. In un periodo di crisi, ci si arrangia e si diventa minimalisti: si fa di più con meno. E nel campo dei server, il motore delle aziende e la ruota dentata centrale nell'ingranaggio economico, la nuova parola d'ordine è "integrazione". La crisi ha ridotto i budget e quindi la capacità di spesa delle aziende anche italiane, ma la risposta è chiara: si fa di più con meno, fondendo server, storage e networking. Prima i numeri. Secondo i dati Sirmi nel 2012 in Italia sono stati venduti volumi di server inferiori del 23% rispetto al 2011, con valore in calo del 19%: in valori assoluti sono 108.496 macchine pari a circa 426 milioni di euro. Il calo è più marcato nel mondo delle architetture x86 (basato su Intel/Amd) con il -23,2% di volumi (quasi 104mila macchine) e -20,9% di valore (300 milioni di euro), ma è forte anche nelle architetture custom: -21% a volume e -14,8% a valore. Una accelerazione soprattutto nell'ultimo trimestre dell'anno, che vede una flessione complessiva del 31,5% dei volumi e del 28,1% a valore.
A questo punto però è evidente che le aziende stanno comunque continuando a lavorare e utilizzare le nuove tecnologie: sia le grandi che le piccole e medie. Come fanno? Consolidamenti, aggiornamenti, scelta di soluzioni che permettono di fare di più con meno. È vero, come diceva Vint Cerf, uno dei padri dello stack Tcp/Ip e quindi della "cinghia" di trasmissione di internet, che le tecnologie devono essere costruite a prova di futuro. Tuttavia oggi diamo per scontate una serie di innovazioni che tuttavia stanno resistendo a cambiamenti inediti della nostra storia.
Sono poche innovazioni chiave quelle su cui si regge l'intera infrastruttura dei server di oggi. Parole ancora poco note ai non addetti ai lavori: virtualizzazione, cloud computing, big data, architetture integrate e convergenti. Concetti che però rappresentano il cambiamento di passo della tecnologia. Si consolidano, si sommano e si virtualizzano più server in un unico contenitore, si fornisce la potenza di calcolo come servizio ai vari dipartimenti dell'azienda, si comincia a pensare in termini di architetture standard e convergenti con la parte di storage (archiviazione dei dati) e quella di networking, sempre più complessa e costosa. Il risultato? Nei server cambia tutto. Nati negli anni cinquanta come grandi "mainframe" e gestiti da scienziati e tecnici in camice bianco, sorta di oracoli della modernità che i manager delle aziende potevano solo invocare ma non azionare direttamente, i "cervelloni" diventano prima "micro-computer" grandi come un armadio a quattro ante e poi personal, sulla scrivania delle segretarie e poi dei dirigenti. In questa rivoluzione cambia tutto: cambiano le architetture, ma cambiano soprattutto gli usi e i tempi del server. Il risultato è sotto gli occhi di tutti, ad esempio dal punto di vista della security. Se prendiamo cento aziende che perdono i dati causa backup fallito del server, spiega una ricerca di Forrester di alcuni mesi fa, un anno dopo ne ritroviamo solo venti: ottanta sono fallite.
Senza contare le connessioni in tempo reale alla rete, l'esigenza non solo del commercio ma anche della gestione della filiera, i software gestionali, gli archivi dei clienti e dei fornitori, i sistemi di controllo delle fabbriche, i cruscotti per le analisi di business intelligence. E arriviamo poi ai social network e ai Big data: i server di oggi gestiscono carichi di informazioni prima inimmaginabili sia come tipologia che come variabilità oltre che come tipo di impiego. E il cloud computing da un lato, la mobility e la consumerizzazione dall'altro rendono impossibile pensare di gestire lo status quo. La grande quantità dei dati, la sicurezza e l'utilizzo di nuovi paradigmi come il cloud sono cambiamenti profondi che chi pensa e investe in tecnologia sta meditando, nonostante le flessioni del mercato.
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