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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2013 alle ore 15:55.

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Nei 32 anni di storia del virus dell'Aids, la bambina del Mississipi nata da madre sieropositiva e trattata subito dopo la nascita con un cocktail di medicinali è il secondo caso di "guarigione" dal virus. Il primo, Timothy Brown, l'uomo noto come il paziente di Berlino, era guarito dopo essere stato sottoposto a un trapianto di midollo osseo per curare la leucemia. In questo caso il donatore aveva una rara mutazione genetica che ha impedito al virus di entrare nelle cellule.

La notizia del neonato che da sieropositivo è diventato sieronegativo ha suscitato interesse, entusiasmo, ma anche prudenza da parte della comunità scientifica. Perchè potrebbe avere importanti implicazioni nel trattamento degli oltre 300mila neonati che ogni anno nascono – per lo più nei paesi in via di sviluppo - con il virus Hiv, ma non prima che questo risultato possa essere confermato da ulteriori ricerche. E' presto per parlare di guarigione e quindi modificare i protocolli medici è del tutto prematuro. Il caso presenta infatti dettagli anomali: il neonato è stato trattato con una somministrazione più aggressiva del normale ed entro 30 ore dalla nascita, senza aspettare i risultati del test, per il quale occorre attendere 4-6 settimane. Per i ricercatori sarebbe proprio questa combinazione, cioè la rapidità e l'aggressività della cura che ha permesso la guarigione funzionale del bambino. Il virus infatti non è completamente debellato ma ridotto ai minimi termini: in questo modo il sistema immunitario è in grado di tenerlo sotto controllo.

Ma lo studio è caratterizzato da un altro fatto - del tutto involontario- che si discosta dal tradizionale protocollo terapeutico: è stata la madre del bambino, e non i medici, a decidere di sospendere la terapia per una decina di mesi. Tanto è vero che la dottoressa che ha in cura il piccolo paziente - Hannah Gay, il medico dell'University of Mississipi Medical Center -si aspettava dopo la sospensione dei farmaci di trovare un aumento della carica virale.

E negli adulti sieropositivi? Non è ancora chiaro se questo intervento possa essere efficace nelle persone infette nelle quali il virus ha già avuto il tempo di creare serbatoi virali, luoghi in cui l'Hiv si nasconde per riapparire appena si interrompe la cura antiretrovirale. Mentre nel caso del bambino americano la terapia precoce non ha dato tempo al virus di crearsi questi "reservoir virali".

Per Anthony Fauci, l'immunologo italo-americano che ha fornito contributi fondamentali nel campo della ricerca dell'Aids, sia come scienziato sia come direttore del National institute of allergy and infectious diseases, i risultati che la virologa Deborah Persaud, del Johns Hopkins children's center di Baltimora ha illustrato ad Atlanta in occasione della Conferenza sui retrovirus e le infezioni opportunistiche, sono una "proof of concept" che se verrà dimostrata in studi supplementari permetterà di eradicare l'Hiv nei neonati.
Sempre che non compaiano altre malattie o effetti collaterali nel lungo periodo.

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