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Questo articolo è stato pubblicato il 31 marzo 2013 alle ore 12:44.
Google assume esclusivamente tramite il proprio sito; i curriculum devono essere inviati rigorosamente in lingua inglese e sottopone i postulanti a colloqui quantomeno particolari: tra le domande ci sono dei quiz di logica, delle situazioni da risolvere in tempo reale (per i programmatori anche scrivendo porzioni di codice) e, spesso, i colloqui sono intrattenuti da quelli che potenzialmente possono essere i colleghi del candidato. L'esattezza delle risposte fornite è relativa: ciò che vogliono vedere in Google è la capacità di prendere decisioni in modo autonomo, il pensiero logico e la flessibilità. Questo ci insegna che se il curriculum vitae è ancora lo strumento principe con cui i candidati si presentano, il valore che questo assume diventa vieppiù relativo.
Nel frattempo la figura dell'head hunter tradizionale ha subito una variazione morfologica, Oltreoceano prendono piede piattaforme quali Startuphire.com oppure Hireart.com, siti sui quali domanda e offerta si incontrano. Contenitori di curriculum e di startup che, venendo in contatto su queste reti sociali di settore, permettono ai candidati di conoscere le startup che assumono e viceversa.
A ogni figura professionale corrisponde una community online: le startup che si occupano di web-design cercano i propri collaboratori su behance.net o su dribble.com; gli hacker radunano le proprie idee e i propri lavori su Ycombinator una community non propriamente dedita al loro ingaggio ma gettonata da quelle startup che intendono assoldarne. Programmatori e analisti software vengono reclutati attraverso github.com, una community di condivisione che punta molto sull'open source; gli iscritti più brillanti vengono seguiti (e reclutati) dalle aziende. Una risorsa tanto importante da avere ricevuto un finanziamento di 100milioni di dollari lo scorso mese di luglio, a sottolineare come il futuro delle soluzioni software non può che essere condiviso.
Sulla quantità di posti di lavoro effettivamente creati dalle startup il dibattito è aperto; da una parte chi sostiene che ne creino sempre meno come, ad esempio l'Hudson Institute il quale, in uno studio firmato da Tim Kane, stabilisce che gli impieghi creati negli USA dalle aziende che hanno meno di un anno di vita sono 2,5 milioni contro i 4,1 milioni del 1994.
Alle nostre latitudini vi sono opinioni che viaggiano in senso divergente. Carlo Purassanta, Ceo di Microsoft Italia, è convinto che le startup nostrane possano creare 500mila posti di lavoro. Dopo essere stato per lungo tempo all'estero dice di avere trovato un Paese meno ottimista, con meno voglia di fare, ma dotato in abbondanza di capacità creativa. Per Carlo Crudele, co-founder di Twoorty, social network innovativo «made in Italy» che raggruppa gli utenti per interessi, è invece importante agire in prima persona quando si parla di assunzioni. Niente reclutatori esterni quindi, il curriculum resta uno strumento di pre-screening, ma «un gran peso ce l'ha anche il feeling e la propensione del candidato a scommettere su un'impresa che può dare soddisfazioni economiche future, ma non immediate». I profili vengono ricercati sui social, soprattutto LinkedIn anche se – in una percentuale che Crudele stima attorno al 30% –il buon vecchio passaparola non fa mai male. «Restano basilari le competenze tecniche della figura professionale che si cerca ma l'atteggiamento del candidato, anche caratteriale, hanno un peso non indifferente. Oggi sono molte di più le persone che ci chiedono un'occupazione».
Linea rimarcata anche da map2app, la startup bolognese che ha sviluppato una piattaforma capace di trasformare in applicazioni contenuti geo-localizzati e che vanta una sede anche a San Francisco. Pietro Ferraris, co-founder e Ceo, concentra la selezione all'interno dell'azienda e si appoggia a un network che definisce "personale". «map2app è la mia seconda startup e nella mia precedente esperienza, durata 5 anni, ho avuto modo di collaborare con molte persone, alcune estremamente valide, pertanto quando abbiamo fondato map2app abbiamo intervistato in primis i migliori talenti con cui avevamo già collaborato. Tra questi ne abbiamo scelto uno. Anche gli altri due li abbiamo trovati grazie a una intensa attività di networking, a mio parere uno dei modi più efficaci per le startup per trovare collaboratori di qualità». «Le caratteristiche comuni a tutti», continua Ferraris, «sono una enorme flessibilità in termini di attività da svolgere giorno per giorno, l'indipendenza, la rapidità di esecuzione e un'ottima padronanza della lingua inglese». «Uno dei problemi delle startup», aggiunge Crudele, «è che avendo mezzi limitati a volte ci si lascia scappare delle valide risorse a cui non si possono dare certezze, in quest'ottima credere nel progetto e una propensione all'assunzione del rischio sono caratteristiche altrettanto importanti».
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