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Questo articolo è stato pubblicato il 30 giugno 2013 alle ore 13:45.

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2020, il computer è invisibile

Ma cosa fa di mestiere un futurologo aziendale? «Tanto per cominciare, non faccio previsioni per il lungo periodo. Semmai, mi occupo di disegnare il futuro», risponde Brian David Johnson, che sul biglietto da visita esibisce l'ambizioso titolo di Intel futurist. «Il futuro è sempre incerto. Però è finita l'era in cui ci chiedevamo: cosa si può fare con questa tecnologia? Da oggi, la domanda è: cosa vogliamo farci?».

In altre parole, secondo il futurologo della Intel (in italiano il futurista è un esponente del futurismo, come Tommaso Marinetti) l'evoluzione tecnologica sta cancellando le limitazioni del passato, per spalancare una nuova era. «Entro il 2020 – dice – le dimensioni fisiche di calcolo si avvicineranno allo zero». Traduzione: i chip continueranno nella corsa verso la miniaturizzazione, fino quasi a scomparire. «Costeranno così poco e saranno così piccoli che, in teoria, potranno essere impiantati in qualsiasi oggetto di uso comune: una giacca, una finestra, un frigorifero. In questo modo, l'intelligenza sarà pervasiva, ci avvolgerà».

La scalata esponenziale della capacità di calcolo, prevista dal cofondatore della Intel, Gordon Moore, ha reso possibile questo incredibile passaggio dai mainframe degli anni '60 che occupavano una stanza, ai potenti smartphone che abbiamo in tasca. Ma per quanto sarà ancora valida? «La Legge di Moore non è una legge di natura, come quelle della termodinamica», risponde Johnson. «Peraltro, sappiamo bene che nulla può raddoppiare per sempre. La Legge di Moore è solo un'aspirazione, un obiettivo che ci ha guidati fin qui. Però posso dire che adesso sto studiando le tecnologie del 2021 e che, allora, sarà ancora valida».

Se i microprocessori si apprestano a diventare ubiqui, spiega ancora il futurist, è perché la capacità di calcolo è cresciuta così tanto da diventare irrilevante. «Ma per le applicazioni dove sarà sempre rilevante, ci aspettiamo che il quantum computing cambi radicalmente lo scenario», sfruttando le incredibili proprietà della meccanica quantistica che governa il nanomondo.

Sì, ma il quantum computing è ancora lontano da essere realtà. Non c'è il rischio che la Legge di Moore vada a sbattere contro i confini fisici del silicio, ben prima di allora? «In teoria, sì. Ma si potranno trovare delle tecnologie ibride per coprire quell'eventuale divario. Su Nature è di recente uscito un articolo di scienziati che sono riusciti a inserire un qubit (il bit quantistico) in un apparato di silicio».

Anche se, a detta di Johnson, ci sono altre prospettive entusiasmanti.

«Penso alle opportunità della biologia sintetica», dice. Sempre di recente, «alcuni scienziati hanno codificato nel Dna di un batterio un sonetto di Shakespeare e il celebre "I have a dream" di Martin Luther King. Poi lo hanno sintetizzato al contrario e il testo era di nuovo leggibile. È un po' come se quel batterio fosse un hard-disk. Senza contare che si autoproduce l'energia necessaria a mantenere i dati».

Ma la singolarità tecnologica? Che ne pensa dell'idea dell'inventore Ray Kurzweil che, proiettando la Legge di Moore a metà secolo, sostiene che la capacità di calcolo supererà quella di tutti i cervelli umani di tutto il mondo? «Beh, in realtà quell'idea è di Vernor Vinge, un mio amico, autore di un celebre paper sulla singolarità scritto per la Nasa. Personalmente, credo che il futuro sarà più complesso di quel che prevede Kurzweil. Però insisto: cosa vogliamo dalla tecnologia del futuro? Dobbiamo deciderlo noi, oggi. Come possiamo trasferire nella tecnologia i valori umani, i nostri sogni, la nostra etica? Questo, secondo me, è il vero tema».

È proprio questo, il mestiere del futurologo dell'azienda che ha lanciato la rivoluzione dei semiconduttori. «Mi avvalgo delle scienze sociali, della statistica, dell'economia per capire anticipatamente quale direzione prendere. Perché non è stata la Legge di Moore a stabilire l'evoluzione tecnologica: sono stati gli esseri umani. Allo stesso modo, gli sviluppi futuri non dipendono dalla tecnologia in sé, ma da quello di cui hanno bisogno gli esseri umani».

C'è chi ancora discute se la Intel sia un'azienda ancorata all'era del Pc, se sia adeguata o meno alla nuova era del computing mobile, oppure se sia dopotutto una internet company. «Noi produciamo capacità di calcolo – taglia corto Johnson – e quindi intelligenza. La domanda cruciale è: quali effetti vogliamo trarre da questa intelligenza? E poi agire di conseguenza».

Quando la giacca controllerà la temperatura corporea, la finestra registrerà i dati ambientali e il frigorifero segnalerà che le uova sono scadute, vivremo in un oceano di dati. Appena dieci anni fa, non esistevano gli smartphone, le app o il cloud computing. Non c'è futurologo al mondo in grado di predire con precisione cosa vedremo fra altri dieci anni. «So soltanto che arriverà», dice Johnson, ridendo. «Oggi, è il momento giusto per disegnarlo»

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